Piccole cose da nulla, di Claire Keegan – Librini
Piccole cose da nulla è un racconto lungo della scrittrice irlandese Claire Keegan, pubblicato in Italia da Einaudi, che tenevo lì a prendere polvere da un annetto.
[“Librini” è una rubrichetta aperiodica di questo blog, dedicata a volumetti super-agili da leggere d’un fiato.]
L’avevo cominciato, poi messo via, poi ripreso, poi ricominciato, e niente, non andavo mai oltre il secondo capitolo, mi infastidiva quell’atmosfera un po’ triste alla Dickens, quell’ambientazione popolana che mi lasciava presagire una storia di “umanità depressa”, ed è il genere di libro per cui devo sentirmi dell’umore giusto. Qualche settimana fa l’ho ripreso in mano e l’ho finito in meno di un’ora, si vede che era il suo momento.
Mi è piaciuto? Sì, salvo che per due aspetti. Il primo è che la parte davvero interessante arriva tardi, a un terzo di libro per l’esattezza, e tutta la parte precedente non fa che costruire contesto, un contesto necessario per carità, ma senza momenti realmente vividi, tutto sempre ovattato in quell’atmosfera stanca e densa che mi aveva annoiata le prime volte. Il secondo aspetto fastidioso è che a sole due pagine dalla fine, dico DUE, l’autrice mi piazza lo spiegone. Argh. Spiegone brevissimo, eh, poche righe: solo che io le motivazioni del protagonista le avevo capite DA SOLA, grazie tante, il cambiamento che è avvenuto dentro di lui (con i perché e i percome) lo avevo capito DA SOLA, non c’era bisogno di trattarmi come una polla… ma vabbè, quello del dire troppo e dire troppo poco è un argomento tosto, questa non è la prima né l’ultima volta che ci finisco dentro.
Sul resto, che dire: grande! Un’immersione dentro gli anni Ottanta orchestrata da tocchi di colore e accenni a oggetti e personaggi dell’epoca: i Levi’s 501, il Live Aid, Freddie Mercury, le caramelle Quality Street, una retina con delle biglie di vetro, una lattina di 7up. E un’incursione perfetta di un luogo tetro, la cui facciata di rispettabilità nasconde tragedie silenziose; la conversazione del protagonista con la Madre Superiora è un lungo dico – non dico da cui si capisce tutto senza bisogno di spiegare niente. La trama è veramente esile, eppure mette in scena un bel cambiamento interiore nel protagonista Furlong, che immagino come una sorta di Pereira irlandese. Tutto ciò che vuole, alla fine, è sentirsi degno di guardarsi allo specchio; ed è un gran bel motivo per decidersi ad agire.