Noir

Estratto

Si ricontrollò da capo a piedi un’ultima volta, poi suonò e sfoderò un bel sorriso. Dopo qualche istante, sentì armeggiare di là dalla porta.
«Chi è?»
«ANICI, Associazione Nazionale Invalidi Civili e Cittadini Anziani» rispose lui in tono cortese. «Ho un pacco regalo per la signora Teodolinda Marangoni.»
La porta si aprì di qualche centimetro, lasciando intravedere un naso ben dritto su cui poggiavano occhiali dalla montatura tartarugata.
«Un pacco regalo?»
Amedeo notò con disappunto che la megera non era del tutto stupida: aveva messo la catenella.
«È un omaggio che riserviamo alle persone con cui ci pubblicizziamo, per scusarci del disturbo. È lei la signora Teodolinda?
«Sì, sono io.»
«Le faccio perdere solo un istante, signora, nessuna chiacchiera inutile. Ho pure la macchina in divieto! Se mi firma la ricevuta, le lascio il pacchetto e i volantini dell’associazione. Così li guarda con calma. Senza impegno, naturalmente.»
La donna sembrava perplessa, ma anche un po’ divertita, e non smetteva di fissargli la cravatta.
Aprì la porta fino a tendere tutta la catenella. «Va bene. Mi dia pure.»
«Grazie mille.»
Le allungò la cartellina con la ricevuta e la penna, lei firmò e gli restituì il tutto.
«Ed ecco il regalo» aggiunse Amedeo. Ma la scatola era grossa e gli spigoli puntavano da una parte contro lo stipite, dall’altra contro la porta. Non c’era verso.
«Aspetti, aspetti. Le apro. »
Amedeo sorrise.

Stato dei lavori: stesura

Avevo scritto una prima versione di questa storia parecchi anni fa: come mi succede spesso, era partita per essere un racconto breve, poi è diventato un racconto lungo, adesso mi piacerebbe trasformarlo in una novella (una di quelle forme ibride tra racconto e romanzo che stanno prendendo piede anche da noi, dopo essersi diffuse nei paesi anglosassoni).
Il noir è un genere complicato, intendo psicologicamente complicato: si basa su personaggi dolenti, spesso avvolti da una spirale di violenza, incapaci di trovare una via d’uscita, condannati a un epilogo drammatico. A me di tutto questo interessa soprattutto la loro sofferenza interiore, quella ferita, quel vulnus emotivo che si portano dietro e che non riescono a guarire. “Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”, diceva Fabrizio De Andrè.