Women's fiction

Estratto

Il padrone del cane aveva l’aria del gentiluomo di campagna; berretto di lana, pantaloni grigi e una camicia felpata a quadrettoni con le toppe sui gomiti. Si chiamava Sergio, maestro elementare in pensione che aveva in concessione l’orto vicino al mio. Si rivolse a quello che guidava il pick-up.
«Antioco! Hai detto che ci avanzava del concime?»
L’altro fece segno di sì. «Mezzo sacco. Può servire alla signora?»
Sergio si girò verso di me. «Non mi pare che abbia già concimato, giusto?»
«Altro che concimato.» Mostrai i mucchi di sterpaglia. «Non ho nemmeno finito di pulire. Non immaginavo che servisse così tanto tempo.»
«Prima volta che mette le mani in un orto» azzardò il terzo.
«Primissima.» Tesi la mano aperta. «Maddalena.»
«Vincenzo.»
Anche il guidatore del pick-up si fece avanti. «Antioco.»
«Un nome importante.» Lui non ricambiò il mio sorriso, anzi si rabbuiò. Avevo fatto una gaffe? «Chiedo scusa, non volevo offendere.»
Gli altri ridacchiavano, Sergio gli mise una mano sulla spalla. «Il ragazzo ha sempre paura che lo prendano in giro per il nome.»
«Non ci pensavo nemmeno» lo rassicurai. «Guardi, io lavoro all’università nel settore della storia antica, per me certi nomi sono sacri.»
Il “ragazzo”, che avrà avuto la mia età o poco meno, guardò di traverso. «Mi sono sorbito tante di quelle battute, con questo nome da cariatide…» Si interruppe e aguzzò la vista in direzione del parcheggio. «Sergio, metti il guinzaglio al cane. Arriva Rosita.»
«Oh maledizione» sbuffò l’altro. «Miro, qui! Qui, bello!»
La signora che si stava avvicinando in bicicletta doveva avere quasi settant’anni, eppure pedalava impavida sullo sterrato come se avesse dovuto correre una gimcana. Si fermò con una frenata brusca. Appoggiò la bici al cavalletto, prese dal cestino un cane rossiccio dalla stazza di un gatto ben messo e lo depositò a terra. La bestiola si mise a correre verso di noi, raggiunse Miro e gli puntò addosso le zampe anteriori, mordicchiandogli l’orecchio e la guancia. Miro tirava il guinzaglio e girava su se stesso.
«Che faccio, mollo?» chiese Sergio, appena Rosita ci raggiunse.
«Sì, sì.» Lei abbozzò un cenno di sufficienza. «Adesso non è in calore.»
Appena Miro sentì svanire la presa sul collare, rispose all’invito della cagnolina e i due filarono verso il parcheggio, dove si misero a correre e a inseguirsi.

Stato dei lavori: completo, in cerca di casa

Se volessi farmi dei complimenti da sola, direi che questa storia ha il sapore dei film di Ferzan Ozpetek, quelli surreali e agrodolci come Le fate ignoranti oppure Mine vaganti.

Situazioni, per capirci, in cui una protagonista deve prendere le misure a un ambiente umano diverso dal solito, con alcuni aspetti esilaranti e altri drammatici.
Nel caso di questo romanzo, una donna proveniente da un ambiente colto ed elitario si ritrova a doversi letteralmente sporcare le mani per fare qualcosa di molto più umile, almeno in apparenza; salvo poi rendersi conto che adattarsi a nuove situazioni e scoprirne le potenzialità, senza più adagiarsi su scelte di comodo in una comfort zone blindata, è la via per prendersi cura nel miglior modo possibile di vecchie ferite che non hanno mai smesso di sanguinare.