Letture di Marzo 2020
La clausura da Coronavirus ha portato a due conseguenze fondamentali: meno impegni in giro e la ricerca di riti e momenti di intima riflessione, quindi dedicati (anche) alla lettura.
L’incontro più fulminante è stato quello con i Nove racconti di J.D. Salinger. Senza voler insistere sempre e solo su “Un giorno ideale per i pescibanana”, di cui ho già raccontato in questo post, le storie sono tutte caratterizzate da quell’atmosfera agrodolce e da quei personaggi un po’ gretti e un po’ malinconici tipici del cosiddetto grande romanzo americano (d’accordo, questi in realtà sono racconti, ma la definizione riguarda un certo modo di concepire la letteratura e i suoi oggetti). Come avviene con tutte le raccolte di racconti, alcuni mi sono parsi meglio riusciti di altri, ma non c’è dubbio che ciascuno ti lasci addosso qualcosa: spesso una sensazione acuta di disagio, di fastidio strisciante, di essere entrati per qualche tempo nell’intimità di personaggi inquieti, attraverso la quotidianità a volte squallida delle loro vite.
Ho anche affrontato, a seguito della lectio magistralis a cui ho assistito il mese scorso, il Diario di un’apprendista astronauta di Samantha Cristoforetti, un bel malloppone di 500 pagine che racconta, a metà fra la scienza più oggettiva e l’emozione più personale, sia gli anni di duro lavoro necessari ad essere scelti e addestrati per il viaggio a bordo del veicolo spaziale Soyuz e la permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale, sia il periodo stesso di permanenza nello spazio. Le parti più tecniche, per forza di cose, non sono sempre entusiasmanti: ci sono incarichi di routine (ciascuno dei quali porta comunque il suo imprescindibile contributo), viaggi da un capo all’altro del pianeta, momenti ripetitivi. Ogni passaggio è però spiegato con chiarezza e affiancato all’alternarsi di sensazioni come timore, entusiasmo, delusione, meraviglia, determinazione, rispetto, scoramento, speranza, complicità… davvero uno spettro molto ampio. Non mancano considerazioni di carattere generale su un certo modo di affrontare la vita e le sue sfide, piccole perle che ti lasciano il desiderio di raccoglierle e tenerle a mente, presenti nel tuo cammino che non sarà quello di un’astronauta ma può condividere con esso le emozioni di cui sopra.
Una lettura che affronta un argomento difficilissimo, ma con la ferrea determinazione a non scadere nel melodramma, è il romanzo d’esordio di Massimo Gramellini, ovvero l’ormai famoso Fai bei sogni. Ne avevo spesso sentito parlare ma non avevo mai trovato lo stimolo giusto per leggerlo, prima che fosse mia sorella a prestarmelo e a consigliarmelo caldamente (forse perché sa che l’argomento in questione attira il mio interesse in modo quasi ossessivo). Che posso dire? Il mestiere del parolaio c’è e si vede: nella scrittura di Gramellini non riconosco vette letterarie memorabili ma ne apprezzo la scorrevolezza, la lucidità e più di ogni altra cosa l’autoironia, strumento che aiuta a mettere tante cose nella giusta prospettiva e andrebbe esercitato più spesso possibile da chiunque.
Zero ironia o autoironia, invece, ma una sorta di perenne, quieto, silenzioso stupore attraversa i sei racconti della breve raccolta Lucertola, di Banana Yoshimoto. In vita mia avrò letto si e no sette o otto opere di autori giapponesi e mi sa che, fra quelle, quattro o cinque sono proprio di Yoshimoto: a suo tempo, parlo di una ventina di anni fa o anche più, ci avevo trovato, non so, uno spirito affine, soprattutto in romanzi brevi come Kitchen e Sonno profondo (quest’ultimo un po’ creepy, a dire il vero). Riprenderla in mano dopo tanti anni mi ha fatto un effetto singolare: da un lato non trovavo più quella sintonia, dall’altro ne ho costruita una nuova, bastata su coordinate che ovviamente vent’anni fa non avevo. Per riflessioni più approfondite rimando al mese prossimo, penso che su una di quelle storie scriverò un post della rubrica “Dentro il racconto”.
Ultimo romanzo: La fuga di Logan, di William Francis Nolan e George Clayton Johnson, un distopico scritto negli USA nel 1967 (titolo originale: Logan’s Run) e arrivato in Italia nel 1976. Ne ho sentito parlare al volo in un gruppo di lettura su Facebook, quel che ne raccontavano mi ha incuriosita e zac, l’ho trovato sul mercato dell’usato. Nel frattempo ho scoperto che in patria (gli USA) è stato un discreto successo, ci hanno fatto anche un film, una serie tv e due serie a fumetti. Mi è piaciuto moltissimo perché, anche se la storia parte da un presupposto che al momento sembra ridicolo, e testimonia che non sempre la fantascienza anticipa la realtà (anzi a volte prende cantonate atomiche), è però scritto in un modo scattante e iper-dinamico, non ti lascia un attimo di respiro e in ogni pagina vuoi sapere cosa accadrà nella pagina dopo. Spettacolare anche il modo diretto ed efficace con cui ti immerge nel setting, mostrando tanti e tali dettagli di questo mondo futuro che ti sembra di averci sempre vissuto dentro. Davvero una bella sorpresa, per essere un libro acquistato così, sul ghiribizzo di un momento. Ho scoperto che c’è anche un seguito (Il mondo di Logan), non vedo l’ora di metterci sopra le mani.
Infine, ho inaugurato una maratona di lettura dedicata a vecchie storie a fumetti che non leggevo da tanto tempo, sicché tanti ricordi erano sfumati, o che addirittura non avevo mai letto, a volte capita di acquistare un albo che poi rimane lì a prendere la polvere perché c’è sempre qualcos’altro che gli passa avanti. Per ora mi sono concentrata sulla Marvel e ho ripercorso tutte le storie del cosmo Avengers e del cosmo mutante che vanno dalla saga Avengers Disassembled fino alla saga successiva, House of M, con alcune puntatine su Young Avengers, Black Panther e Daredevil. L’inestimabile dono di poter rigustare un sapore per lungo tempo amato e da lungo tempo smarrito.