Mini-Velma ha preso 10 in educazione fisica
Fine della terza elementare: ieri il colloquio di fine anno con la maestra, oggi la consegna delle pagelle.
Voti ottimi, su tutta la linea. Mini-Velma è una di quelle bambine con un cervello niente male che, finché siamo alle elementari, in teoria le permetterebbe di vivere di rendita – non fosse che mamma e babbo sono inflessibili sui compiti e sullo studio.
La cosa pazzesca, però, è il 10 in educazione fisica.
Perché su quella, davvero, no, Mini-Velma non può vivere di rendita. Purtroppo qualche cromosoma mio lo ha ereditato, il che significa tendenza al sovrappeso e tanto amore per zuccheri e carboidrati. Insomma una lotta continua contro la bilancia, che per fortuna riusciamo a gestire con l’aiuto di una pediatra in gamba, con una buona dose di serenità e senza farne un dramma – conosco bambine e soprattutto mamme che, al posto nostro, dalla disperazione sarebbero già entrate in qualche clinica specializzata.
Ma quest’anno lei – ha – preso – 10 – in – educazione – fisica.
Perché non ha mai mollato, perché ha fatto quello che doveva anche se a volte si vergognava, anche se qualche battutina dai compagni arrivava, anche se faceva certe sudate che mi arrivava a casa sciolta. Anche se quella pancetta abbondante ce l’ha ancora, anche se non sarà mai quella che salta più in alto o corre più veloce. In compenso è quella che non perde una parola dell’insegnante, che si concentra, che lavora di precisione e di attenzione ai dettagli, e se deve tirare una palla contro un bersaglio è probabile che lo centri.
Anche la sua unica attività extra-scolastica, ovvero il tennis, l’ha portata avanti con una tenacia che, giuro, io non credo di aver mai avuto. Un’ora e mezza il martedì, un’altra ora e mezza il giovedì, più un’ora supplementare con il suo maestro preferito il sabato, più sempre il sabato un’ora e mezza di atletica compensativa. Più, a volte, qualche tiro con me o con Tecno-Velmo. Più una dozzina di tappe di un torneo amatoriale una domenica sì e una no, più un altro paio di piccoli tornei, da tre tappe l’uno, in primavera. Molte partite perse con onore (“non importa, mi sono divertita lo stesso”), qualcuna vinta (“Non ci posso credere, ho vinto!!!”), molti bei colpi giocati d’astuzia sotto rete, altri sparati diagonali o lungolinea con una potenza di braccio che inizia a farsi interessante.
Sta imparando, molto più con l’attività fisica che con quella didattica (almeno per ora), come arrivino i risultati grazie alla costanza e alla fatica, e non credo ci sia lezione migliore che una bambina di nove anni possa assimilare e lasciar sedimentare. Va bene che a volte siamo stati noi genitori a spingerla quando c’era qualche momento di fiacca («Mamma, oggi sono stanca, non ho voglia di andare a tennis» / «Dai, coraggio, fai uno sforzo, pensa ai maestri che ci rimangono male se non ti vedono»), ma devo darle atto di non aver mai ceduto. Anche quando le condizioni di partenza erano sfavorevoli.
A me, come minimo, tocca seguire il suo esempio.
«Mamma, ti sei già rimessa a scrivere? Ma sei tornata da Macerata pochi giorni fa!»
«Sai com’è, tesoro. Devo sentirmi all’altezza di una persona che stimo molto.»