
A Master of Djinn è un romanzo steampunk fantasy di P. Djèlí Clark, uscito negli USA nel 2021, che l’anno seguente ha vinto sia i Nebula Award che il Locus Award. L’edizione italiana contiene in appendice anche una novella del 2019, intitolata The Haunting of Tram Car 015, ambientata nello stesso universo narrativo e collocata cronologicamente poco tempo prima del romanzo.
Mi sono buttata nella lettura di questo libro uscito in Italia da pochissimo, per l’esattezza lo scorso febbraio, per due motivi: un’ambientazione originale e una scrittura solida (sempre siano lodati gli estratti disponibili nei negozi online, che ci permettono di scovare le belle penne e di evitare le fetecchie modaiole). L’ambientazione, dicevo: una versione steampunk dell’Egitto del 1912, ma con la presenza di magie, incantesimi e creature sovrannaturali della tradizione mediorientale, primi fra tutti i djinn, che coesistono con la popolazione locale, a volte in modo più che pacifico, a volte con qualche screzio.
Per gestire le situazioni magiche problematiche, al Cairo esiste nientemeno che il Ministero Egiziano dell’Alchimia, Incantesimi & Entità Soprannaturali. La protagonista di A Master of Djinn si chiama Fatma el-Sha’arawi ed è appunto una brillante detective del Ministero che ha l’incarico di scoprire le modalità, il movente e il responsabile di un omicidio plurimo avvenuto in casa di un lord inglese fissato con l’esoterismo e le creature magiche. Accanto a Fatma si muovono diversi colleghi, fra cui il recente acquisto Hadia Abdel Hafez, punto di contatto con le realtà sociali più progressiste del Paese, e molte creature sovrannaturali (del tutto o in parte) con cui intrattenere relazioni di vario tipo.
Diciamolo pure subito: A Master of Djinn mi è piaciuto un sacco. Non voglio gridare al capolavoro, non mi ha causato quei brividi che di solito mi arrivano da romanzi fra le cui righe si snodano temi profondi e intensi (v. il solito Le ore invisibili che non smetterò mai di adorare); tuttavia mi ha regalato una storia intrigante, un worlbuilding dettagliato e complesso, peraltro messo in scena senza spiegoni pretestuosi, e tantissimi personaggi con cui entrare in empatia, inclusi i più esecrabili o supponenti. Ah, e pure una storia d’amore, non predominante bensì squisitamente amalgamata con il resto della trama.
D’accordo, un po’ mi è dispiaciuto aver capito già a metà lettura chi fosse il colpevole di cui Fatma è alla ricerca, ma le vicissitudini della giovane investigatrice sono state di mio gusto. Pollice in su anche per le descrizioni, vivide senza cadere nell’eccesso di dettagli; in particolare segnalerei i vari tipi di abbigliamento, dai completi volutamente dandy della protagonista a quelli che richiamano la tradizione mediorientale.
E sì, qua e là sbucano temi importanti come la condizione femminile, le ripercussioni sociali della seconda rivoluzione industriale, la delicata situazione politica degli anni Dieci del XX secolo. Insomma un romanzo che consiglierei, perché è davvero una bella immersione in un mondo affascinante, grazie al filo conduttore di un’indagine ben congegnata.
Addendum: esiste anche un altro racconto ambientato nell’universo di A Master of Djinn, anzi IL racconto che a quell’universo ha dato vita per la prima volta nel 2016. Si intitola A Dead Djinn in Cairo, conta appena 12.000 parole (praticamente un terzo di The Haunting of Tram Car 015) ed è un peccato che anche lui non sia stato inserito nel volume italiano. Speriamo in una futura pubblicazione.