Letture di Febbraio 2020
Ogni tanto mi capita di leggere qualche fan-fiction, nella maggior parte dei casi all’interno di fandom supereroistici (Avengers, Mutanti, Arrowverse, Justice League, ecc), quasi sempre in inglese sui siti Fanfiction.net e Archive of Our Own, e oggi per la prima volta te ne propongo una.
Un paio di settimane fa, dopo l’uscita di un nuovo trailer per il film di Black Widow, mi era punta vaghezza di leggere qualche storia su Natasha Romanoff e mi sono imbattuta, fra le altre, in un’avventura di una quarantina di capitoli intitolata The Devil’s Keeper; è scritta da una persona che si firma con lo pseudonimo TheTruthAboutLove ed è talmente ben riuscita da farmi venire voglia di proportela. Si tratta di un misto di spy story, viaggi nel tempo e romance congegnato con grande attenzione e con una linea cronologica complicata, c’è stato davvero tanto lavoro a tavolino dietro la costruzione della trama; eppure l’intreccio fra l’aspetto fantascientifico e quello romantico funziona bene, senza forzature (c’è un rallentamento del ritmo nella seconda metà della storia, ma è un peccato veniale). Notevole anche la conoscenza del Marvel Cinematic Universe, con riferimenti sia ai lungometraggi che alle serie televisive (in particolare ad Agents of S.H.I.E.L.D., di cui ti avevo parlato parecchio in questo post). Se estrapolata dal suo contesto originale, rispetto al quale si prende (consapevolmente) delle libertà, e trasformata in una storia di fantascienza con ambientazione diversa, diventerebbe un gran bel romanzo.
Ho ripescato dagli scaffali di casa un libro che aspettava lì da tanto tempo: Come il lupo, dello scrittore ravennate Eraldo Baldini. Me l’avranno regalato, boh, anche più di dieci anni fa, ma non avevo mai trovato l’ispirazione (lo so, è una parola sciocca) per leggerlo. Ho pensato che era giunto il momento e adesso sono presa tra due fuochi: da un lato il rimpianto di non averlo letto prima, dall’altro il dispiacere che sia durato così poco. Mi sono piaciute soprattutto le descrizioni: quest’uomo ha un talento pazzesco per farti vedere, sentire, annusare gli ambienti in cui colloca la storia. Anche i personaggi sono ben pennellati, vividi e inseriti nel loro contesto storico e sociale. Se in alcuni casi hanno una pecca, è forse quella di parlare troppo bene, troppo come un libro stampato, ci sono momenti in cui avrei preferito un linguaggio più grezzo. La trama ha qualcosa del romanzo storico, qualcosa del romanzo di formazione (sebbene il protagonista sia un uomo già adulto) e qualcosa del thriller-ma-non-troppo. Se devo dire la verità, quando a pagina 136 viene rivelato un elemento importante dell’indagine che il protagonista ha intrapreso, ho azzeccato in buona parte la soluzione del mistero; ma la parte che invece ho mancato è stata poi la più saporita.
Momento confessione: fino ad ora, non avevo mai letto nulla di Roald Dahl. Prego, si proceda al linciaggio. Una volta finito, si proceda a un linciaggio ulteriore, perché La fabbrica di cioccolato, libro con cui ho deciso di iniziare a porre rimedio alla mia vergognosa lacuna, mi è sembrato… così così. Ovvero: ho trovato coinvolgenti lo stile, il dinamismo, la fantasia, il susseguirsi di personaggi e situazioni, ma continuo a chiedermi: e la trama? Esile, molto esile. Una specie di lungo e divertente predicozzo sui bambini viziati, che affrontano i loro difetti (insieme ai genitori) grazie all’intervento di un mentore che li coinvolge in una sorta di viaggio pazzesco, un luogo bizzarro dietro l’altro (i vari “reparti” della fabbrica); e un finale che restituisce giustizia a un bambino per nulla viziato, il quale fino a quel momento ha affrontato tante rinunce ma è stato cresciuto da una famiglia onesta e affettuosa. Non so, per un autore tanto celebrato mi sembra pochino. Di solito, in questi casi, vuol dire che sono io a non aver colto qualcosa: quindi ritenterò con altri suoi titoli.
Concludo con un saggio di Anna Maria Lorusso, dal titolo Postverità. Ricordando alcuni saggi brevi di questa autrice che avevo letto in passato e che avevo trovato discretamente complicati, mi ero avvicinata al testo con un po’ di timore; ho scoperto invece che dietro la stesura c’è stato un grande (ed encomiabile) sforzo divulgativo. Certo, non è un libro da comodino o da ombrellone, o almeno non lo sarebbe per come io vivo il comodino e l’ombrellone; ma con un po’ di impegno, e al limite saltando qualche nota tecnica, è alla portata di tanti lettori. Si analizzano il concetto di postverità, i diversi contesti in cui va considerato, i fenomeni mass-mediatici di cui è figlio, le posizioni filosofiche con cui ha insospettabili parentele e i meccanismi cognitivi tramite cui prospera. In un periodo come questo, pieno di comunicazioni disparate che si inseguono su ogni canale possibile riguardo al famigerato Coronavirus, un saggio del genere è quasi un must.