Agents of S.H.I.E.L.D. seasons 1/5 – Fantasy
Agents of S.H.I.E.L.D. è una serie che puntavo da tantissimo tempo e non avevo mai avuto occasione di guardare per bene, ne avevo vista solo qualche puntata sparsa qua e là. Così, appena anche la quinta stagione è stata disponibile su Netflix, ho deciso di farmi un regalo di Natale anticipato e dedicarmi a un fantastico binge-watching prenatalizio.
La serie mi è piaciuta moltissimo. Il sistema dei grappoli di puntate viste tutte d’un fiato impedisce di godere appieno del meccanismo seriale, rende alcuni passaggi inutili o ridondanti e permette di notare trame che avrebbero goduto di una maggiore sintesi, senza trascinarsi. Ma si tratta di questioni legate, appunto, al fatto che la prima messa in onda era stata settimanale, con tutto il tempo che serve per lasciar decantare la puntata precedente e predisporre alla successiva. L’assortimento dei personaggi è ottimo, assorbe la lezione degli X-Men di Chris Claremont e degli Avengers di Brian Bendis; l’elemento multietnico è appena accennato all’inizio ma viene inserito con gradualità. Effetti speciali non paragonabili a quelli dei film per il cinema, ma comunque ben realizzati e, soprattutto, non usati in modo eccessivo. C’è un sostrato supereroico, va bene, ma lo S.H.I.E.L.D. è anzitutto un’organizzazione di spionaggio.
Difetti veramente significativi? Ne vedo un paio: due personaggi poco approfonditi (sebbene longevi) come Mack e Yo-Yo, e un’insistenza eccessiva sul lato più ribelle di molti personaggi che, a turno, complicano la vita a tutti gli altri perché decidono di agire di testa loro, spesso disobbedendo agli ordini diretti dei loro superiori: va bene che questo garantisce momenti di tensione e di imprevedibilità, ma è un giochino che, se non studiato in dettaglio, alla lunga diventa stantio e inverosimile.
Cos’è che invece funziona in questa serie? Tutto il resto. Vediamolo in sette punti e senza spoiler eccessivi.
1. Un regista e sceneggiatore come Joss Whedon che conosce benissimo il materiale con cui può lavorare, avendo esperienza pluriennale sia in campo cinematografico che fumettistico. Whedon riesce a camminare sul filo sottile, instabile e pericoloso che divide il fandom originale dei comics da quello più recente dei film e delle serie tv. Ogni storia è godibile a sé stante per i nuovi arrivati e rivela gustosi easter egg per chi ha già confidenza con certi personaggi e atmosfere. Se un tempo era più abile come sceneggiatore che come soggettista (la sua run su Uncanny X-Men lo aveva ampiamente dimostrato), mi pare che adesso le due competenze siano più omogenee.
2. I collegamenti al MCU, l’universo cinematografico della Marvel. Soprattutto nelle prime due stagioni (poi, purtroppo, il meccanismo viene rarefatto quando non addirittura eliminato). Compaiono personaggi come Nick Fury, Maria Hill e Lady Sif, inoltre ci sono collegamenti espliciti ai film di Thor, di Capitan America e degli Avengers. Non male anche l’introduzione di altri personaggi dei comics, ad esempio Werner von Strucker, il colonnello Talbot, Deathlock, Mimo, Ghost Rider, gli alieni Kree – che servono anche a inserire la razza degli Inumani, su cui la serie imbastisce una serie di trame e concetti di chiara derivazione mutante… se non fosse che l’universo mutante Marvel non si poteva usare per una questione di diritti cinematografici legati ai film degli X-Men. Bel colpo, Joss.
3. Un leader carismatico e generoso come Phil Coulson, già apparso in diversi film del MCU, che insieme all’agente Melinda May incarna il ruolo del tutore/genitore per gli altri agenti della squadra, tutti più giovani di loro. Soprattutto il legame che entrambi instaurano con Skye (Coulson praticamente da subito, May a partire dalla seconda stagione) si evolve in continuazione e aiuta a inserire l’elemento familiare in una squadra che inizialmente non sembra tanto ben assortita.
4. Un personaggio centrale, Skye, che catalizza l’identificazione del pubblico interpretando la parte della nuova arrivata, che all’inizio capisce poco o nulla del mondo in cui è finita, ma un po’ alla volta se ne rivela pietra fondante. Il lettore dei comics, in particolare, si rende conto poco a poco di chi è veramente questa ragazza e gode come un riccio, perché si rende conto che anche in una serie tv, e non solo nei prodotti da grande schermo, gli è stato offerto un pezzo da novanta. Il personaggio è gestito bene anche in relazione agli altri: quando ruba la scena c’è un motivo, ma in generale le viene impedito di essere l’unico focus delle trame (insomma evita, ringraziando il cielo, l’effetto Wolverine che quando entra in campo lui sembra spariscano tutti gli altri X-Men). Agents of S.H.I.E.L.D. è una serie corale, e non viene meno a questa vocazione anche quando una protagonista ottiene più spazio degli altri.
5. La coppia Leopold Fitz – Jemma Simmons, i giovani e geniali scienziati – talmente giovani e talmente scienziati (pieni di entusiasmo, di fiducia nella tecnologia e nello S.H.I.E.L.D. STESSO) che permettono un’evoluzione psicologica esorbitante dalla prima alla quinta serie, e sa il cielo quanto la cosa verrà ulteriormente proseguita nella sesta e nella settima. Il fatto che lei sia inglesissima e lui scozzesissimo li rende anche fortemente caratterizzati dalla pronuncia, che purtroppo va persa nel doppiaggio italiano (un grazie a Netflix, che fornisce l’opzione dei dialoghi originali con sottotitoli).
6. Un personaggio molto diverso da quel che sembra, e non vado nei dettagli per non spoilerare. La rivelazione sull’agente Ward è inaspettata, ben costruita, motivata e credibile: colpisce allo stomaco lo spettatore affezionato. Qui è dove si vede tutto il mestiere di Whedon, che su questi sapienti colpi di scena ci ha costruito una carriera (un altro meccanismo simile, anche se molto più contenuto, riguarda il ruolo di Jemma all’inizio della seconda stagione).
7. Un’altra coppia ben assortita: quella formata da Bobbi Morse (Mimo) e Lance Hunter. Anche quest’ultimo è inglese nell’accento, ma nemmeno un po’ nel carattere: è sarcastico, scanzonato, una specie di Han Solo in salsa british, il che diviene continuo motivo di scontro e attrazione con la ex-moglie, poi collega, poi nuovamente compagna di vita. Bobbi e Hunter sono spettacolari: nelle scene di azione, nei battibecchi, nelle parti romantiche. La scena della spy’s goodbye nella sua quiete è straordinaria, uno di quegli altri momenti “alla Whedon”.
La serie è stata rinnovata per altre due stagioni… e io attendo con il telecomando in mano.