Women’s Fiction Festival 2015
Prima di cominciare, le mie scuse a chi segue questo blog: tre settimane di assenza non sono poche. L’impossibilità di connettermi da casa, i lavori di ristrutturazione ancora in corso, l’arrivo di una cara amica dal Canada ospite a casa mia per una settimana e infine una botta di influenza che ha colpito tutta la famiglia non mi hanno permesso di aggiornare il blog. Le cose stanno lentamente (len-ta-men-te) tornando alla normalità, spero. Oggi ti racconto la mia esperienza al Women’s Fiction Festival di Matera, dal 24 al 27 di questo mese. Senti un po’ com’è andata.
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Scopro l’esistenza del Women’s Fiction Festival un annetto fa, al termine dell’undicesima edizione, grazie a un breve reportage che una partecipante ha messo online. Rimango colpita dall’atmosfera che quel post riesce a trasmettermi e penso che una capatella a Matera l’anno dopo potrei anche farla.
L’idea di andarci da sola mi frena. Allora propongo la trasferta alla mia amica Roberta, anche lei aspirante scrittrice (siamo una la beta-reader dell’altra), che aderisce con entusiasmo. Lei parte in aereo dalla Liguria, io in treno dalla Romagna, ci troviamo in aeroporto a Bari, saltiamo su una macchina a noleggio, arriviamo a Matera e alloggiamo a Casa Ferri, credo la casa vacanze più bella di tutta la città (è stata Roberta a scovarla e prenotarla con spudorato anticipo).
Imperativo categorico di entrambe: siamo lì per imparare, promuoverci e nel tempo libero scrivere, NON per comprare nuovi libri. Abbiamo già una pila infinita di libri da leggere sui comodini. Basta acquisti, basta libri, basta spendere. E poi le valigie pesano, quindi niente libri nemmeno da casa: in viaggio ascolteremo un po’ di musica o scribacchieremo appunti. Niente libri, no, giammai.
Poi succede che il mio treno ha 35 minuti di ritardo, io mi annoio e mi ritrovo nella libreria della stazione. Ehm ehm.
Decido di optare per una lettura da viaggio, possibilmente un thriller. Non sono un’appassionata del genere e non vorrei scrivere un thriller, però vorrei tanto scrivere come un thriller: veloce, scorrevole, fast-paced dicono gli inglesi. È passato un po’ di tempo da quando ne ho letto uno (The Deadly Touch of the Tigress, poi rititolato The Water Rat of Wanchai, di Ian Harrison, che ho divorato). Decido che è l’occasione per provare un volume di Tess Gerritsen, la creatrice letteraria di Rizzoli & Isles, da cui è tratta la mia serie tv preferita. Così compro Il silenzio del ghiaccio (in originale Ice Cold) nell’edizione Tea. 9 euro ben investiti.
Giunte a destinazione, scopriamo che Michele, il gentilissimo gestore di Casa Ferri, è il cognato del fumettista Giuseppe Palumbo. Il mondo del fumetto mi insegue, non c’è niente da fare, ma io non ci casco più… giammai… anche se… magari un giorno… vabbè. Al nostro arrivo è notte, la vista di Matera dal terrazzo di Casa Ferri è folgorante. Sono imbarazzata per la mia ignoranza e per non essermi adeguatamente informata su dove esattamente fossimo dirette, ma anche grata a quella stessa ignoranza che ha permesso un simile impatto emotivo. Roberta e io passiamo la serata a zonzo per i Sassi, ripetendoci a vicenda le sinossi dei rispettivi romanzi in vista dei pitch previsti per il giorno dopo.
E qui, parentesi: sono appunto i pitch, ovvero gli incontri con editor e agenti, uno dei piatti più gustosi del Women’s Fiction Festival. Uno si iscrive online con un certo anticipo, poi manda una mail e chiede di incontrare gli operatori del settore di suo interesse, fra quelli che partecipano alla Borsa Del Libro. La signora Judith (grazie, grazie, GRAZIE Judith per la sua gentilezza, cordialità e precisione) combina gli appuntamenti ed ecco che l’aspirante scrittrice ha 10 minuti tondi tondi per presentare, a ciascun editor e/o agente, il suo libro. Dove altro la trovi, un’occasione simile?
L’altro piatto forte sono gli interventi del convegno, sui temi più disparati e con tanti ospiti di rilievo, italiani ed esteri. Tutte persone preparate ed estremamente chiare nell’esposizione di dati, opinioni e suggerimenti. Io da lettrice abituale del blog di Jane Friedman sono lì soprattutto per lei, ma rimango sbalordita dalla qualità di tutti gli interventi (e dallo humour squisitamente british di Penelope Holroyde – se mai vorrò proporre qualcosa direttamente al mercato anglosassone, mi metterò in ginocchio sui ceci davanti alla sua agenzia). Non citerò nessun incontro in particolare, perché davvero li ho trovati interessanti tutti, dal primo all’ultimo. Sono elencati nel sito del WFF, basta guardare lì per farsi un’idea.
Così, dedicando le mattine agli interventi e i pomeriggi ai pitch e ad altre attività, passano quattro giorni. Giovedì mi concedo una visita guidata ai Sassi e imparo la storia di Matera dal Neolitico a oggi (bravissima la guida Amy che ha saputo selezionare i punti salienti della storia della città, esponendoli con la massima chiarezza). Mi immagino la faccia di Carlo Levi quando, dopo anni passati a perorare la causa di un intervento del governo italiano per salvare gli abitanti del luogo da peste, colera e quant’altro, si sente dire che la soluzione migliore è evacuare la città. De Gasperi doveva essere un grande fan del nodo di Gordio.
Venerdì sera, sempre per la serie “basta comprare libri”, Roberta ed io andiamo alla presentazione del volumetto I cruschi di Manzù di Giuseppe Palumbo e Giulio Giordano, edito da Lavieri, prontamente acquistato (6,50 euro) – e ti pareva. Non vedevo Giuseppe da, boh, sette/otto anni? E lui sempre sorridente, cordiale e socievole, come pure il suo editore con il quale abbiamo ricordato quella volta che, durante la fiera di fumetto per cui lavoravo, ci siamo sbafati le mozzarelle di bufala che aveva portato da Caserta. Sì, a volte il mondo del fumetto mi manca.
Venerdì incontro anche le effervescenti pazzoidi della European Writing Women Association, alla quale aderisco istantaneamente (fra loro ci sono anche Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacometti, che al WFF hanno tenuto un impegnativo workshop dal titolo “Come costruire un personaggio credibile”). Considerata la quantità di tempo che una scrittrice (aspirante o meno) passa in solitudine, l’idea di fare rete con altre donne mi solletica. Non so esattamente quale genere di contributo io possa dare, mi auguro di scoprirlo col tempo.
Sabato sera, premiazione della Baccante 2015, Giuseppina Torregrossa, e reading di Teresa De Sio, che ha da poco pubblicato con Einaudi un libro dal titolo L’attentissima (18 euro). E giù altro acquisto, autografato, perché non ci si poteva esimere, perché il reading è stato la fine del mondo (intenso, commovente, raffinato) e lo vedi, quando qualcuno ci mette tutto se stesso per farti arrivare quello che sente e quello che voleva dire mentre scriveva.
Insomma: torno a casa con tre libri in più… che non finiranno nella pila sul comodino, perché li ho già divorati tutti e tre! Evvai. Vostro onore, mi autoassolvo. Torno a casa anche con minimo tre chili in più, come se non bastassero già i miei, perché a Matera si mangia divinamente. Minicroissant alla crema per colazione, crespelle e/o tagliatelle e/o spiedini per pranzo, pizza e/o orecchiette per cena, quasi sempre in locali diversi, mai una delusione.
Tornando al convegno. L’elemento che più trovo interessante fra quelli emersi dai vari incontri e che secondo me andrebbe approfondito è la grande differenza tra il mercato italiano (ed europeo) e quello estero. Che si parli di editoria tradizionale, di self-publishing, di generi che tirano, di autori popolari o di nicchia, i due mercati hanno poco in comune. Maria Paola Romeo, una delle fondatrici del festival, dice che qualche anno fa questa differenza non era così tanto marcata, adesso sì. Probabilmente tutto si riduce alla solita questione che in Italia la gente non legge, punto. Io che insieme alla stesura del romanzo mi sto anche dedicando alla visibilità online, con sito, social, blog eccetera, mi rendo conto che sto seguendo un modello soprattutto anglosassone e mi chiedo quanto sia produttivo questo impiego delle mie energie, in un contesto tanto diverso dal mio modello di riferimento. Potrei essere (insieme alle altre persone che fanno come me) una pioniera, ma ha senso fare i pionieri se il nostro Far West è deserto? E ha senso investire in traduzioni estere, quando nel loro, di Far West, c’è già abbondanza di pionieri, indiani, cowboy e tutto il resto?
Inoltre, se il mercato editoriale in genere sta vivendo una crisi spaventosa (qualcuno ha detto che forse, ma proprio forse, si inizia ora a intravedere un barlume di luce in fondo al tunnel), a parte alcune eccezioni è in crisi ancor più nera il genere fantasy, notizia che non mi aspettavo (almeno non in termini così gravi) e che mi deprime un bel po’, essendo il fantasy proprio il genere che scrivo io. Culo, eh?
Aggiungiamo che, sui miei quattro pitch, due mi vanno subito a vuoto proprio perché l’editor e l’agente con cui ho parlato non trattano appunto il fantasy (cosa che non mi era stato possibile desumere dalle notizie trovate in rete, altrimenti nemmeno le avrei disturbate). Gli altri due un po’ meglio, nel senso che si tratta di editor legati a case editrici che il fantasy lo pubblicano e quindi daranno una letta al materiale che ho lasciato (sinossi, qualche capitolo esemplificativo, nota biografica e due cartoline promozionali). Eppure, nonostante i preparativi e le prove generali, ho la sensazione di non essere brava a “vendere il mio prodotto”. Non vedo un autentico lampo di interesse negli occhi di queste due persone – che sono cortesi e professionali, su questo niente da dire. Credo di aver confuso cosa per me è interessante e valido nel mio romanzo, e cosa lo sarebbe per loro, ovvero per un lettore. Non serve un genio a sapere che era il genere di sbaglio da non fare, ma temo che, fra nervosismo e fretta, mi sia scappato. Quindi ora sono un po’ abbacchiata, ma la cosa importante è fare un bel nodo al fazzoletto per la prossima volta e via, non mollare mai.
C’è piuttosto da essere abbacchiati per le sorti del festival perché, con le parole pronunciate in pubblico dalla sua ideatrice Elizabeth Jennings (una donna un tornado), “forse finisce qui”. Scarso appoggio delle istituzioni, insomma pochi soldi. Avendo lavorato molti anni per un festival, capisco fin troppo bene. Se i politici materani fanno come quelli che ho conosciuto io, c’è una bella differenza tra quello che ti promettono a parole e quello che poi effettivamente si legge sulle delibere (le quali delibere arrivano con mesi di ritardo, così tu nel frattempo hai comunque iniziato a lavorare, coinvolto gente, invitato ospiti, messo in ballo mezzo mondo e non puoi tirarti indietro). Spero che qualcosa cambi, che lo sdegno di autori e operatori del settore serva a rimettere in riga i diretti interessati. Lo spero veramente.
Per inciso, ad ascoltare le tristi parole di Elisabeth Jennings sul palco della premiazione della Baccante 2015 e a presentare la serata, c’è Alessandra Casella. Anni fa, ero una spettatrice fedele di Nero su bianco, un rotocalco televisivo che questa brava giornalista conduceva su Arturo, un canale Sky oggi non più attivo. Un programma che presentava libri, recensioni, interviste ad autori, realizzato con preparazione, intelligenza e garbo. Nell’era dei talk show urlati, una perla di rara bellezza. Conservo su DVD le registrazioni di tutte le puntate, tranne la seconda che mi era sfuggita (ancora mi mordo i gomiti dalla rabbia). Confessare di persona alla signora Casella quanto fossi affezionata al suo programma e vedere la sua reazione entusiasta è un bel momento della trasferta materana, anche se faccio una figura peggio che se fossi una groupie dei Duran Duran (oggi si direbbe degli One Direction ma, insomma, c’ho un’età).
La mia ciliegina sulla torta: domenica mattina infilo il piede dritto in una buca del selciato e prendo una delle mie ormai epiche e dolorosissime distorsioni alla caviglia, con annesso svenimento in mezzo alla strada durato un minuto o poco meno. Roberta, poverina, ci rimette dieci anni di vita e io mi sveglio al suono della sua voce che chiama aiuto. Scusami, impavida beta-reader, per lo spavento che ti ho fatto prendere.
Torno a casa domenica sera e vengo accolta dalle feste delle due bimbe di casa (una pelosa e una no). Niente marito, partito nel pomeriggio per un viaggio di lavoro. Figuriamoci se quella volta l’anno che ci capitano delle trasferte, non ci accavalliamo. E vabbè. Nanna presto, che lunedì c’è scuola.
Così arriviamo a oggi, giorno dedicato alla stimolante ed entusiasmante attività che qualunque scrittrice, dopo quattro giorni così intensi, metterebbe in cima alla sua lista, ovvero… rullo di tamburi…
…il cambio degli armadi.
Sopprimetemi. Meglio: congelamento e animazione sospesa per un annetto. Ma svegliatemi in tempo per il nuovo WFF, eh.