Letture di Maggio 2020
Questo mese sono stata indisciplinata! Avevo stilato una bellissima tabellina con l’elenco delle letture a cui dedicarmi da qui a fine anno, stilata secondo rigorose priorità, e a metà mese l’avevo già tradita.
Avevo iniziato bene con La meccanica del cuore di Mathias Malzieu (ed. Feltrinelli), un romanzo breve che potrei definire di genere surreale-steampunk. Il protagonista è un ragazzo a cui, appena nato, è stato estratto il cuore per sostituirlo con un orologio a cucù; viene avvertito che questa protesi è delicata e quindi dovrà tenerla al sicuro da emozioni forti che potrebbero danneggiarla, ma lui si innamora e insegue il suo amore per mari e per monti, abbandonando la prudenza e imbattendosi in personaggi bizzarri e situazioni paradossali. L’ho letto volentieri perché lo stile è piacevole, ma confesso che, in cambio della rinuncia a una struttura narrativa tradizionale, non ho trovato elementi che mi abbiano davvero catturata. Anche se, devo ammetterlo, il finale sembra buttato lì quasi a casaccio e invece, a pensarci, dice parecchio.
Avevo proseguito benissimo con un libro che mi attendeva pazientemente da mesi, e cioè Caos a Qasrabad del mio editor di fiducia Eugenio Saguatti, edito da Alacràn Edizioni (il libro è esaurito ormai da qualche annetto, ma si trova ancora nell’usato). Si tratta di un giallo fantasy: un elfo chierico deve indagare su una serie di delitti che sono stati consumati all’interno di una scuola di magia. La storia ha un bell’equilibrio di azione e indagine, e presenta un cast variegato e numeroso, cosa che mi fa sempre piacere (per me i comprimari non sono mai abbastanza). Molto interessanti le considerazioni etiche e sociali affrontate grazie alla metafora delle diverse scuole di magia, delle loro rivalità e alleanze, dei princìpi che guidano l’una oppure l’altra. Un solo appunto: secondo me, l’indizio seminato a pagina 196 è un po’ troppo sfacciato.
Avrei dovuto proseguire con altri titoli, ma poi mi è arrivato un pacchetto appena ordinato, che conteneva fra le altre cose il primo volumetto della Guida di stile redatta da Luisa Carrada per Zanichelli, e non ho resistito. Seguo il lavoro di Carrada da anni e ho sempre trovato spunti interessanti e ben ragionati. Pensati, in teoria, per la cosiddetta scrittura professionale (comunicati stampa, mail amministrative, newsletter aziendali…) ma spesso utilissimi anche per la cosiddetta scrittura creativa (romanzi, racconti). In gran parte si è trattato di un ripasso, gradevolissimo però. Sarebbe un ottimo manualetto di editing, per i tanti editor free-lance che popolano il web e che non sempre sono all’altezza delle aspettative. A volte basta poco, giusto qualche attenzione in più.
Stavo per riprendere la mia simpatica lista, ed ecco che inizio a sentire in giro per la rete polemiche a non finire perché questo mese La Nave di Teseo ha pubblicato l’autobiografia di Woody Allen, cosa secondo molti inopportuna per via di come la reputazione di Allen è colata a picco negli ultimi tempi, e non bisognerebbe lasciare spazio a una persona simile, e altri editori nel mondo questo libro lo hanno rifiutato, e bla bla bla. Mi è partito l’embolo e mi sono messa a rileggere un altro libro scomodo, di quelli che continuano a causare polemiche a non finire: La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci (ed. Rizzoli). Contiene argomentazioni antipatiche, frasi insensibili, esternazioni intolleranti? Oh, ma certo. Che però vanno comunque lette, per comprenderle e, usando strumenti dialettici degni di questo nome, controbattute dove possibile (secondo me, in certi casi possibile non è, ma se entriamo in questo campo non finiamo più). Non eliminati per partito preso, per ideologia cieca, perché “eh ma la Fallaci non si può sentire”. A parte che di gente capace di scrivere come lei non è che ce ne sia dietro ogni angolo di strada; ma soprattutto, per quel che mi riguarda, la cultura (e quindi l’editoria) non censura, non brucia, non taglia. La cultura propone, poi ciascuno sceglierà. Voltaire non dovrebbe passare mai di moda.
Anche l’ultimo libro del mese non era “scalettato”, però mi è passato sotto il naso mentre riordinavo uno scaffale e non ho resistito alla sua rilettura: La malora di Beppe Fenoglio (ed. Einaudi). È uno di quei libri tristi, ma tristi, ma così tristi, ma di una tristezza che ti gela le ossa. Una specie di Malavoglia, forse anche più crudele perché è brevissimo, e la sua sintesi è penetrante, le vicende si svolgono implacabili nei primi anni del Novecento nella campagna delle Langhe, dove contadini e mezzadri lottano quotidianamente contro la povertà, strappano alla terra e ai padroni una misera sussistenza, e in questa vita fatta di sfruttamento si abbrutiscono, perdono l’umanità, la speranza, la vita. Un pugno allo stomaco, ma di quelli che prendi volentieri perché la scrittura di Fenoglio ti accarezza anche quando ti picchia.