“Jekyll & Hyde” di Robert Louis Stevenson – Librini
Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde di Robert Louis Stevenson (in originale The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1886) è, contrariamente a quanto credevo da ragazzina, un librino.
Voglio dire, è un titolo famosissimo, ha dato origine a trasposizioni crossmediali di ogni tipo (film, fumetti, musical…), è praticamente diventato un modo di dire, e insomma anni fa me lo figuravo come un volumazzo alla Moby Dick, un mattone da affrontare con una notevole dose di ardimento.
E invece è un librino! Cosa che (mea culpa) ho scoperto solo qualche anno fa, perché a volte i bias cognitivi sono talmente radicati che si riesce a rimuoverli solo dopo tanto tempo. Sta di fatto che, pur essendo un caposaldo della letteratura mondiale, è una storia piuttosto breve: saranno 25.000 parole, 30.000 a voler abbondare. E, pur essendo stato scritto nel 1885 e pubblicato l’anno dopo, fila una meraviglia ed è privo di orpelli eccessivi, che a volte appesantiscono la letteratura di quel periodo. D’accordo, qui c’entra senz’altro anche la traduzione: io ho letto quella di Fruttero e Lucentini per l’edizione Einaudi, e ho apprezzato come abbia mantenuto il sapore di un testo ottocentesco ma con un profondo senso di pulizia e scorrevolezza.
Ad esempio: “Utterson non credette ai suoi occhi. Eppure, sì, la parola era di nuovo «sparizione», come nel folle testamento che già da tempo, ormai, aveva restituito al suo autore. Ancora una volta, l’idea di sparizione e il nome di Henry Jekyll figuravano insieme. Ma nel testamento quell’idea era nata da un sinistro suggerimento di Hyde, per uno scopo fin troppo chiaro e orribile; mentre qui, scritta di pugno da Lanyon, che cosa poteva mai significare? Il legale fu assalito da una tale curiosità, che per un istante pensò di trasgredire il divieto e andare subito in fondo a quei misteri. Ma l’onore professionale e la lealtà verso l’amico morto erano obblighi troppo stringenti; e la busta restò a dormire nell’angolo più riposto della sua cassaforte privata.”
Il mio consiglio, a maggior ragione visto che si tratta di un testo breve e pulito, è di leggerlo ad alta voce, anzi quasi di recitarlo, come fosse un audiolibro. Ne trae giovamento l’immersione nella storia e nel protagonista, soprattutto nella confessione narrata in prima persona, e al momento di girare l’ultima pagina si avverte davvero in profondità il senso di una Fine incombente. Motivo per cui suggerisco anche di tenere a portata di mano un buon tè caldo, per rasserenarsi.