Gli Anelli del Potere, stagione 1 – Fantasy
Gli Anelli del Potere, serie tv ispirata agli scritti tolkieniani del Silmarillion ed etichettabile frettolosamente come “il prequel del Signore degli Anelli” è una faraonica produzione Prime Video, che fin dal suo primo annuncio ha fatto molto parlare di sé, spesso con quei toni intransigenti che sfuggono ai fandom più numerosi e consolidati.
La prima stagione si compone di otto puntate e mette in scena quattro trame principali: la lunga caccia di Galadriel alla ricerca di alleanze contro il malvagio Morgoth; il viaggio dei Pelopiedi e l’incontro con un misterioso gigante; la resistenza dei popoli delle Terre del Sud contro l’invasione degli orchi di Morgoth; la ricerca, nelle miniere dei Nani, del prezioso metallo detto mithril da cui dipende la sopravvivenza del regno elfico di Lindon. Molti i personaggi importanti, almeno quattro o cinque per ciascuna delle suddette trame, e molte le relazioni fra di loro che, alla fine di questa prima stagione, in parte devono ancora evolversi.
La mia opinione su questa serie è: merita di essere vista. Pur considerando alcuni cali di tensione nella sceneggiatura e diverse libertà rispetto al materiale originale, col tempo le trame si arricchiscono e, soprattutto a partire dal quinto episodio con il suo finale maestoso, ricreano un’atmosfera a metà fra l’avventura e la malinconia che non trovo lontana da quella dei testi di Tolkien. Quanto al colpo di scena finale, mi costituisco: io non me lo aspettavo, gli sceneggiatori mi hanno fregata e questa cosa mi piace molto. Poi si può discutere sulla credibilità del suddetto colpo di scena e sulle capacità di giudizio di Galadriel, ma in fondo trovo sensato che, prima di diventare l’algida e saggia regina del Signore degli Anelli, anche lei in gioventù (una gioventù commisurata all’immortalità degli elfi) sia stata impulsiva, avventurosa, testarda, piena di sé, accecata dal desiderio di vendetta, eccetera. Menzione d’onore anche per i personaggi di Elrond e Durin, la cui amicizia ricorda quella fra Legolas e Gimli nel Signore degli Anelli, ma in modo più approfondito.
In rete si è molto parlato dei due tratti più tipicamente contemporanei della serie, ovvero la presenza di molti personaggi femminili di rilievo, dal carattere incisivo, e quella di molti interpreti di pelle scura: entrambi elementi che, secondo i puristi del genere e dell’opera tolkieniana, sarebbero fuori luogo in questa serie. Io non la penso così: se anche ci fosse una sovrabbondanza di girlpower e di un casting politically correct, nel momento in cui nessuna di queste due cose inficia la narrazione, un po’ di varietà umana mi fa solo piacere. Senza contare il gusto di trovare tanti personaggi femminili in un ambiente cinematografico in cui il 90% delle produzioni fantasy ha ancora dei cast soprattutto maschili. È un cambiamento troppo rapido, troppo radicale? È lontano dalle intenzioni originarie di Tolkien? Mi sta bene, non mi dà nessun fastidio, del vero Tolkien restano gli scritti.
Restano da citare le scenografie, la fotografia, i costumi, gli effetti speciali: tutto realizzato con abbondanza di fondi (e si vede), tutto maestoso, a ricostruire quell’epoca ricca e gloriosa che, nel Signore degli Anelli, è perduta da lungo tempo e della quale avevamo visto o intravisto solo rovine. Bene, adesso luoghi come il regno sotterraneo di Khazad-dûm o l’isola a forma di stella di Nùmenor sono a portata di sguardo, e meritano di essere ammirati.