La caduta di un impero
“La caduta di un impero”, come titolo, mi piace molto. Lo pronuncio ad alta voce e lo trovo solido, netto, ritmato. L’avevo seriamente considerato per il romanzo che costituisce la parte preponderante del progetto TSF, o almeno per una delle tre parti in cui il romanzo è suddiviso.
Poi mi sono resa conto che Salgari era arrivato prima di me, più di un secolo fa (1911). Maledetto.
Titolo a parte, è pur vero The Silent Force parla di un impero travolto da un forte momento di crisi e di declino, dovuto a scelte politiche sbagliate e all’impossibilità di reprimere all’infinito il desiderio di libertà dei popoli assoggettati. Questo aspetto, insieme alla scelta del lupo come animale simbolo dell’Impero Nessariano e ad alcuni particolari urbanistici, deriva dritto dalla storia dell’antica Roma e, nello specifico, del periodo imperiale. Quando, armata di righello e calcolatrice, mi cimento con improbabili conteggi di tempistica e distanze sulla rudimentale carta geografica dell’Impero Nessariano, penso: diciamo che questo territorio è più o meno come l’Impero Romano sotto Traiano, diciamo che questa città assomiglia vagamente a Londra quando i Romani la fondarono e si chiamava Londinium, diciamo che questa effigie ricorda a grandi linee la lupa capitolina… insomma, io a Roma ci sono nata e la sua storia fa ampiamente parte dei miei ricordi di scuola.
Con questo non voglio dire di essere un’esperta di storia antica: anzi, in fase di documentazione cerco volutamente di non entrare troppo nei dettagli, in modo da non avere la tentazione di utilizzarli in modo pedante. Vado semmai a caccia di suggestioni, curiosità, accenni che mi intrighino abbastanza da rielaborarli e farne particolari utili a rendere più credibili le ambientazioni di TSF.
Uno dei punti che, però, ho bisogno di approfondire è il rapporto fra Roma e i popoli che la circondavano. Già programmavo qualche mattina in biblioteca, quando il destino è stato benevolo e mi è venuto incontro. Ho ritirato in edicola la consueta dose di fumetti e riviste che Santo Davide (l’edicolante) mi tiene da parte e, nel mucchio, è sbucato questo:
Bè, signor destino benevolo, a volte mi commuovi.