The Creator, il film

The Creator, particolare da una locandina
The Creator, particolare da una locandina

The Creator è un film di fantascienza uscito alla fine del 2023, che ho visto alcune settimane fa, dopo la messa in onda su Prime Video. Regista, sceneggiatore e produttore è Gareth Edwards, lo stesso che nel 2016 aveva diretto Rogue One: A Star Wars Story. Protagonisti, John David Washington, Madeleine Yuna Voyles e Gemma Chan.

The Creator, una scena del filmLa trama si svolge in un mondo nel quale c’è in atto una guerra fra gli esseri umani da un lato e le intelligenze artificiali dall’altro. Joshua è un militare che deve svolgere una missione fondamentale: trovare una sorta di arma finale-globale-definitiva sviluppata dalle IA. Ma naturalmente la missione andrà a cozzare contro i suoi demoni personali, e la storica guerra si rivelerà diversa da ciò che tutti credevano.

Raramente ho visto un film che mi abbia lasciata così perplessa. Il tema, quello dell’integrazione delle intelligenze artificiali nella società umana, ovviamente non è inedito anche se rimane un evergreen di grande interesse. Figuriamoci poi oggi, con l’avvento di Chat GPT, Midjourney eccetera. E dal punto di vista visivo, quindi scenografie, costumi ed effetti speciali, The Creator fa un figurone: in particolare, mi ha colpita la scioltezza nei movimenti dei robot umanoidi.

The Creator, un robot in ambiente bucolicoPerò, la trama… ecco, sulla trama ho forti perplessità. Nel senso: non è che non stia in piedi, per carità, l’intreccio funziona e c’è della logica nei legami fra gli eventi. Però, come in altri casi, è il genere di storia che mi fa dire: se l’avessi proposta io, mi avrebbero scritto “dilettante” in fronte! In buona sostanza, direi che The Creator rientra nel celebre meta-genere delle americanate, ma un’americanata fra le più banali, con personaggi poco approfonditi (l’unico ad affrontare un dilemma, che peraltro si capisce subito in che direzione andrà, è il protagonista) e una dicotomia buoni-cattivi troppo manichea.

The Creator, una delle locandineHo trovato difficile anche dare un senso al fatto che le intelligenze artificiali trovino rifugio e una “vita” normale in Oriente, in villaggi dall’aspetto bucolico dove gli attacchi degli umani cattivi e armati fino ai denti ricordano un po’ certi film sul Vietnam. Addirittura, ci sono creature robotiche dalla forma umanoide che indossano semplici abiti da pescatore o tuniche da monaco tibetano: ma perché mai dei robot dovrebbero vestirsi? È come se il messaggio di fondo fosse una critica alla tecnologia occidentale mescolata a un elogio di uno stile di vita più “spirituale” e più “vicino alla natura”, dove ciascuna di queste due caratteristiche rimane poco approfondita e buona giusto per una morale spicciola che “fa tanto zen”.

Se ci aggiungo un calo di ritmo ogni tanto, e la presenza di scene vagamente umoristiche non ben inserite nel quadro generale, che è fortemente drammatico, direi che non consiglio questo film. Tranne ovviamente a chi sia uno studioso di fantascienza, o un appassionato di scenografie futuriste ed effetti speciali mirabolanti.

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