Stardust, di Neil Gaiman e Charles Vess

Stardust, dettaglio dalla copertina dell'edizione Magic Press
Stardust, dettaglio dalla copertina dell'edizione Magic Press

Stardust è uno dei primi romanzi di Neil Gaiman: per l’esattezza risale al 1999, quindi dopo la collaborazione con Terry Pratchett per Good Omens (1990) e dopo il bellissimo Nessundove (1996), ma prima di American Gods (2001) e degli altri.

Stardust, una fra le cover dell'edizione a fascicoliLa storia vanta anche una pubblicazione come semplice testo per Mondadori, ma il progetto Stardust nacque col preciso intento di collaborare con Charles Vess, ed è proprio l’edizione da lui illustrata che io avevo acquistato nel 2006, quando Gaiman in Italia aveva raggiunto una certa fama essenzialmente come sceneggiatore di fumetti, quindi i grandi editori non avevano manifestato interesse per questo suo lavoro in prosa e i diritti di traduzione li aveva presi la Magic Press (all’epoca editore italiano di Sandman).

Vess usa un tratto morbido e colori altrettanto morbidi, a sfumature pastello; ti trasporta lontano dal mondo reale, come se le sue illustrazioni fossero passaggi attraverso cui posare lo sguardo su universi nuovi. Non a caso, ha collaborato con Gaiman anche a due episodi di Sandman che contengono riferimenti al Sogno di una notte di mezza estate e alla Tempesta di Shakespeare, con abbondanza di fate, folletti, fauni eccetera. Tutto questo per dire che, se vi imbattete nell’edizione illustrata di Stardust (adesso i diritti li ha Panini, sono la bellezza di 175 immagini), vale la pena di metterci le mani sopra.

Stardust, l'edizione DC Comics / VertigoLa storia ha il ritmo e le atmosfere di una lunga fiaba, però con linguaggio esplicito e qualche scena un po’ disturbante. Ci sono un mondo reale e un mondo fatato, e c’è un giovane che entra nel mondo fatato alla ricerca di una stella cadente da portare in dono alla ragazza che ama; dopodiché il suo cammino incrocerà quello di altri personaggi, ciascuno con i suoi obiettivi e le sue motivazioni, ad esempio una vecchia strega alla ricerca di una nuova giovinezza e tre principi ereditari che vogliono assassinarsi a vicenda per la successione al trono. Finché tutti i fili narrativi finiscono per congiungersi e riportare la storia al momento che aveva dato origine a tutto, ancor prima della nascita del protagonista.

Ciò che mi più ha colpito in Stardust, oltre al dipanarsi e all’incrociarsi degli eventi, è il modo in cui la voce narrante mantiene un tono pacato e sereno, anche quando racconta eventi straordinari che entrano in scena senza che la loro – appunto – straordinarietà venga enfatizzata in alcun modo. Non mi pare che questa scelta sia tipica, ad esempio, delle fiabe, o almeno non in termini così netti: me ne vengono in mente diverse in cui magie e incantesimi esistono in virtù del patto narrativo con il lettore, ma compaiono accanto ad aggettivi come “incredibile”, “eccezionale” o “stupefacente”, invitando il lettore stesso a fare “oooooh”.

Stardust, illustrazione a doppia paginaQua, invece, è come se si procedesse all’identificazione di una nuova normalità, quella del mondo fatato, dove funziona così e non c’è altro da dire. Insomma una sorta di realismo magico, però calato in un contesto che era magico già di per sé. Per me funziona benissimo: fa venir voglia di rileggere pagine a caso solo per il gusto di provare di nuovo quell’emozione. Che in fondo sarà anche piccola, ma a dispetto di ciò è tanto appagante.

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