
L’analfabeta (ed. Casagrande) è autobiografia più che racconto, è la storia di come Agota Kristof – ungherese emigrata nella Svizzera francese – sia diventata una scrittrice: e non nella sua lingua d’origine, il che probabilmente sarebbe stata una scelta rapida e comoda, ma in lingua francese, quella nuova e tutta da imparare.
[“Librini” è una rubrichetta di questo blog, dedicata a volumetti super-agili da leggere d’un fiato.]
Un passo indietro. Agota Kristof nasce nel 1935 in Ungheria, dove coltiva la passione per la lettura e la scrittura. Si sposa, ha una figlia, conduce una vita comune, finché nel 1956 l’Armata Rossa invade l’Ungheria per contrastare la primavera di Budapest (chi ricorda lo splendido Jonas Fink?); a quel punto la famiglia scappa per il timore di finire nelle carceri sovietiche (a dire il vero un timore del marito, più che di Kristof) e trova rifugio a Neuchâtel. Qui Kristof impara il francese e lo elegge a sua lingua letteraria anche se, per sua stessa ammissione, non riesce mai a padroneggiarlo fino al livello di una madrelingua. Nel 1987 pubblica Il grande quaderno, che le procura successo e notorietà: è il primo dei tre libri destinati a costituire la celeberrima Trilogia della città di K (gli altri due sono La prova e La terza Menzogna).
L’analfabeta è proprio un librino minuscolo: togliendo frontespizio e credits il testo arriva a contare appena una quarantina di pagine, e pure scritte a caratteri grandicelli. Mezz’ora e si legge tutto. Ma è denso, accidenti se è denso, per chi ama leggere o scrivere qua dentro c’è un distillato di passione profonda e incontrollabile per la parola, il suo uso e le sue combinazioni, una passione che supera le asperità della vita e diventa occasione di riscatto a dispetto delle imperfezioni e delle difficoltà. L’autrice non si sente una persona dotata di particolare talento, ma semplicemente una donna cocciuta che ha studiato tanto e non ha perso di vista il suo obiettivo, anche mentre affrontava una vita non sempre facile, in particolare l’esperienza di sentirsi straniera in una terra che non è sempre stata accogliente con lei. Agota Kristof ha uno stile pulito, essenziale, privo di fronzoli: leggendola, sembra di fare due chiacchiere senza pretese. E fino alla fine quasi non ti rendi conto di tutto ciò che ti sta dando.