
La collana è un racconto breve di Guy de Maupassant del 1884, pubblicato prima su un quotidiano e poi in una raccolta di racconti.
[“Dentro il racconto” è una rubrichetta aperiodica di questo blog, dedicata a brevi analisi di racconti di vari autori.]
Mi è venuta la curiosità di leggerlo dopo aver letto questa dichiarazione della scrittrice Ottessa Moshfegh (un nome che sento sempre più spesso, intendo leggere qualcosa di suo quanto prima): «Ho iniziato per la prima volta a scrivere sinceramente, basandomi sulle mie esperienze, e mi sono innamorata del racconto breve, della sua eleganza, potenza, bellezza divina, e di nuovo tutto da capo. Un punto di riferimento per questa forma letteraria, nella mia mente, è La collana di Guy de Maupassant» (da Ottessa Moshfegh: Voice, vulnerability, and putting the intellect to bed, 28 ottobre 2014).
Mi sono chiesta: come mai tanto amore per questo racconto? Che cos’ha di così speciale?
Dopo averlo letto, la mia risposta è: la circolarità della struttura e la potenza dell’introspezione. In realtà la storia è fin troppo semplice [attenzione – SPOILEEEER!]: una ragazza, per presentarsi a un’occasione speciale in società, chiede in prestito a un’amica facoltosa una preziosissima collana, ma poi la smarrisce. Travolta dalla vergogna, ne fa realizzare una identica da restituire, ma per farlo lei e il marito si indebitano pesantemente e affrontano dieci anni di miseria e sacrifici, finché riescono a ripagare tutti i debiti. Poi la ragazza incontra casualmente l’amica e viene a sapere che la “preziosissima” collana originale non era altro che bigiotteria.
Nella maggior parte del racconto, Maupassant racconta gli eventi in modo diretto, quasi scarno, si concede poche digressioni: ma quelle poche riguardano quasi tutte la protagonista, Mathilde. I sogni, le ambizioni, la rabbia di una giovane donna che si sente tradita dalla sorte e ingiustamente destinata a una vita umile, quando al mondo esistono donne che frequentano l’alta società, vestono broccati e indossano gioielli meravigliosi. È questa continua frustrazione a muovere le sue azioni, dal modo sprezzante in cui tratta il marito alla fretta con cui, al momento di lasciare la festa, si dilegua nella notte col marito perché non vuole farsi vedere con il suo vecchio cappotto dalle signore impellicciate.
A questo punto colpisce il fatto che la ragazza, una volta contratti i debiti e comprata una copia esatta della collana da restituire all’amica, si butti anima e corpo nel lavoro, determinata a ripagare tutto fino all’ultimo centesimo. Affronta lavori pesanti, risparmia su ogni cosa, si riduce in miseria (e anche il marito svolge doppi e tripli impieghi) ma tiene duro e arriva all’obiettivo. È cambiata? Ha capito che i sogni di un tempo erano futili e le impedivano di riconoscere le sue fortune? Nì, infatti “talvolta, quando il marito era in ufficio, si sedeva accanto alla finestra e pensava a quella serata, a quel ballo, in cui era stata così bella e così festeggiata”.
Insomma Maupassant sembra quasi lasciare a noi il compito di tirare le conclusioni e decidere se e quanto le inclinazioni più intime di una persona possano cambiare; personalmente, trovo che le azioni dicano più non solo delle parole ma talvolta anche dei pensieri, e quindi che Mathilde sia molto, ma molto cambiata. Non sarà una nuova Pereira, ma per come era partita la differenza mi sembra davvero niente male.