Intervista a Lorenza Ghinelli – Dentro al racconto 3

Questo è il terzo appuntamento con la rubrica Dentro il racconto, una serie di interviste a persone che si dedicano alla scrittura, siano esse già affermate, esordienti o aspiranti. Ho deciso di dedicare particolare attenzione alla narrazione breve (racconti, al massimo racconti lunghi o romanzi brevi, mai romanzi corposi) e alla riflessione sulla scrittura stessa. Quel che mi interessa è sezionare il materiale narrativo senza porre domande generiche, ma al contrario parlando di un testo in particolare e sviscerandolo.

Oggi tocca a Lorenza Ghinelli, che io ho intercettato per la prima volta (anche se dubito che lei se ne ricordi) cinque o sei anni fa, quando era intervenuta in qualità di insegnante ospite a un corso di scrittura creativa che frequentavo. Memore di quella lontana ma entusiasmante esperienza, l’anno scorso mi sono iscritta a un corso di Tecniche Della Narrazione che si svolgeva presso l’Università Aperta di Rimini, interamente condotto da lei. Come previsto, l’ho trovato ottimo e lo consiglio caldamente, dato che Lorenza lo terrà anche quest’anno (cliccando su questo link puoi trovare tutte le informazioni del caso, nello specifico alla voce “A11: Laboratorio di scrittura narrativa”).

 

Buongiorno, Lorenza. Prima di entrare nel merito di un tuo testo breve, vorrei sottoporti (come faccio con tutte le persone che ospito sul mio blog) alcuni prompt di scrittura tratti da “Calliope”, un episodio del Sandman di Neil Gaiman, e sapere se ce n’è uno che potrebbe ispirarti una storia.
1 – Una città dalle strade lastricate di tempo.
2 – Un treno carico di donne mute, che solca il tramonto per l’eternità.
3 – Un uomo eredita una tessera della Biblioteca di Alessandria.
4 – Una pianta di rosa, un usignolo e un collare di gomma nera.
5 – Due donne anziane portano in vacanza una donnola.

Se quella dei prompt è una tecnica che ti interessa, ne puoi trovare molti anche nel libro Amata scrittura, di Dacia Maraini. Questi hanno un’aria molto calviniana. L’ultimo è spettacolare. E trovo notevole anche il secondo. Però non mi verrebbe mai in mente, che so, di inserirli in un corso di scrittura, nemmeno in un romanzo… è una cosa che non mi appartiene.

 

16-12-2016-bNon usi i writing prompt nemmeno nei corsi?

No, cerco di percorrere altre strade. Ad esempio, a volte mescolo in un barattolo pezzi di carta in cui sono scritti soggetti, verbi, complementi e altro ancora, invitando poi gli studenti a lavorare in gruppi. Quello del prompt, invece, è un approccio che sento distante da me.

 

Durante il corso che avevo frequentato io, ci avevi sottoposto una sorta di “prompt visivo”, un’illustrazione di Karel Thole. Quello è un sistema che trovi più congeniale?

Esatto, perché lì sei tu a decidere cosa vedere o da cosa farti ispirare, nell’illustrazione. È come se il prompt scritto, verbale, lo tirassi fuori tu. È questo che a me interessa: non proporre uno spunto già scritto, ma che anche quello emerga dallo scrittore. Davanti a un’immagine, è il tuo inconscio a suggerirti la direzione in cui andare.

 

16-12-2016-cAdesso parliamo di un tuo racconto ben preciso, “Sogni di sangue”. Vorrei chiederti di raccontarmi il processo creativo che ha portato alla sua stesura. Perché l’Egitto, perché il ragazzino coi tutori, perché il radon, eccetera. Cosa ricordi di quando scrivevi la storia?

Tutto è partito dal coccodrillo: è stato lui a portarmi in Egitto. Prima, io non avevo nessuna intenzione di scrivere qualcosa che avesse a che fare con l’Egitto. Come succede sempre, ti arrivano dei personaggi – perché anche il coccodrillo è a tutti gli effetti un personaggio del libro – che ti aprono scenari mai pensati prima. Non so dire di preciso perché tutto questo, eppure era una storia che volevo raccontare. Il ragazzino con i tutori è nato perché volevo un ragazzino con una disabilità evidente, qualcosa che a volte è difficile portare nella nostra società, che tiene sempre il dito puntato sul diverso. Volevo che questa persona, con questa visibile fragilità, avesse un contraltare molto forte; il che è anche un monito per dire “tutte le volte che prendiamo in giro qualcuno, stiamo alimentando la sua parte più oscura, ed è una parte oscura che si ripercuote su tutti, quindi quella non è la strada giusta”. Il racconto era partito come un soggetto che volevo proporre alla Sergio Bonelli Editore per la testata Dylan Dog, ma purtroppo non era del tutto compatibile con la linea editoriale del fumetto. Avrei potuto modificarlo, ma questo mi avrebbe riportata indietro, a quando lavoravo solo su commissione e desideravo soltanto essere libera di scrivere quello che immaginavo. Quando ho scritto “Sogni di sangue”, non ero più disposta a compromessi. Da una parte, un certo modo di adattarsi fa bene alla creatività, perché metterti davanti a dei limiti fa bene; ma tutti i giorni, per anni, ti uccide. Ti fa perdere la capacità di fare delle scelte. Allora ho optato per un romanzo breve…

 

… per il quale ti sei documentata, direi più che in altri casi. C’è tutto un discorso storico, archeologico, addirittura medico.

Esatto! Mi diverto sempre tanto, in questa fase. È la parte più stimolante. Leggere, indagare, scoprire. Imparare un mucchio di cose nuove. Ad esempio la parte sul radon e sulle sue caratteristiche è vera, funziona proprio così. Tranne che non ti trasforma in un coccodrillo, ecco, questo forse no.

 

16-12-2016-dCosa ricordi di quando hai scritto la storia?

Era un periodo di grande transizione: vivevo a Santarcangelo, avevo appena lasciato una realtà avvilente. Non sapevo ancora dove sbattere la testa, eppure ero certa che esistessero dei modi, per farsi strada, che non comportassero per forza annichilimento e servilismo. Avevo in testa questa storia e mi sono divertita a buttarla giù, è stata come una finestra spazio-temporale appagante all’interno di un periodaccio.

 

È stato un lavoro lento o veloce?

La prima stesura, essendo stata pensata per un fumetto, è stata lunga: avevo realizzato la sceneggiatura completa. A scriverlo in forma di racconto, invece, avrò impiegato una settimana. Ricerche e studi li fai prima, è una fase in cui è come se ti scrivessi tutto dentro. Quando io arrivo alla pagina bianca so già cosa voglio dire. La scrittura, per me, è sempre veloce. Diversa è la fase del progettare una storia, avercela chiara, sentire che ti appartiene. Io non sono una che prende appunti. Una storia mi deve abitare; ha il suo momento giusto per essere tirata fuori, senza il rischio di dimenticarla. In seguito c’è tutta la fase delle riscritture, ma la prima stesura in quanto tale per me è veloce.

 

16-12-2016-eTornando alla trama di “Sogni di sangue”: sei partita da un coccodrillo e da un ragazzino disagiato, ma poi di elementi ce ne sono molti altri. La madre del bambino, il Nilo, il radon… come sono “arrivati”? È stata una serie di idee sparse che magari avevi già e hai collegato, o è stato un percorso più razionale?

Quando la storia parte, è come se io smettessi di pensare: ci entro dentro e basta. Mi metto nei panni dei personaggi e dico: cosa succede adesso? E vivo una specie di magia. Quando scrivo mi diverto, non pianifico a tavolino. Quando dico che scrivo dentro, e che quando la storia ce l’ho dentro allora la metto sulla pagina, non è un pensarci razionalmente. È la storia che abita in me.

 

Sono d’accordo che una storia, quando nasce in modo spontaneo, non sia ragionata secondo schemi prestabiliti: eppure ci sono momenti in cui dentro di noi, senza sapere come e perché, si accendono delle scintille e si collegano fra di loro. Magari qualcosa da fuori ce le suggerisce: un brano musicale, una parola di una canzone, una persona che notiamo per strada. Da qualche parte, le idee arrivano.

Sicuramente. Eppure, per me, è una questione di atmosfere più che di idee: non riuscirei mai a ricordare le scintille di cui parli, che pure esistono senz’altro. Una cosa, però, ricordo bene, e cioè la prima cosa che ho “visto” dopo Enoch, cioè dopo il protagonista, e dopo l’iniziale scena di bullismo che assomiglia un po’ a quelle de “Il Divoratore”. Mi trovavo a Santarcangelo, a una festa presso un’associazione culturale che si chiama Ora D’Aria. A un certo punto sono uscita e sono andata sul retro, che non era molto illuminato. C’erano due tombini. Io stavo camminando e ho visto una sorta di effetto “lago nero”, una macchia che si allargava a partire da entrambi i tombini. All’inizio non avevo capito cosa fosse, poi ho guardato meglio ed erano scarafaggi, una quantità impressionante. Ho battuto i piedi per terra e loro sono subito tornati dentro. In “Sogni di sangue” ho usato quell’immagine perché mi interessava l’idea di attirare e poi scacciare determinati animali. Anche in una storia che avevo scritto per la televisione c’era una scena con uno sciame d’api che si avvicinava a una finestra, per poi andarsene quando un personaggio diceva “Via”. Sono un po’ fissata con queste cose, me ne rendo conto.

 

16-12-2016-fEppure, dicevi di lavorare più che altro sulle atmosfere.

Per esempio: una volta deciso che il ragazzino torna a casa di notte, malconcio, vediamo com’è la sua casa. I libri, la stanza con queste ombre sghembe, avevo visualizzato tutto nella mia testa. Come pure la madre, questa figura così algida, fredda, autoritaria. Mi sono detta: “questa casa è come Enoch: c’è una parte che non si vede”. Lo stesso vale per Dorotea che rappresenta l’altro lato della Madre, non quella mariana, che accoglie, bensì l’altra: Lilith, la luna nera, quella di cui non si parla mai.

 

Un parallelo che magari il lettore non coglie consapevolmente, ma recepisce a livello inconscio.  

Mi piacciono molto i simboli e i diversi piani di lettura: uno che vuole solo godersi una storia di paura si diverte; uno che dentro ci vede più piani, si diverte ancora di più. E io stessa mi ero divertita a scrivere il tutto. Quella è la base: quando scrivi, ti devi divertire.

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Biografia essenziale di Lorenza Ghinelli

16-12-2016-gLorenza Ghinelli nasce a Cesena nel 1981.
Dal 2001 al 2003 frequenta il Master in Tecniche della Narrazione presso la Scuola Holden di Torino. In seguito esplora l’universo della comunicazione a 360 gradi: consegue un diploma in web design, uno in montaggio digitale, fa teatro, danza e si laurea con lode in Scienze della Formazione, con una tesi sull’autobiografia nelle relazioni d’aiuto.
Nel 2010, edito da Marsilio, esce J.A.S.T. (Just Another Spy Tale), scritto con Simone Sarasso e Daniele Rudoni. Nello stesso anno Lorenza viene assunta dalla Taodue come editor e sceneggiatrice: si trasferisce così a Roma e collabora alla scrittura del Tredicesimo Apostolo, per Canale5.
Nel 2011 Newton Compton pubblica Il Divoratore (uscito nel 2008 per le Edizioni Il Foglio Letterario). È l’anno del boom. Alla Fiera di Francoforte se lo accaparrano sette Paesi e in Italia scala le classifiche.
Nel 2012, sempre con Newton, pubblica La Colpa, finalista al Premio Strega. Il Teatro a Manovella, con la regia di Massimo Alì, mette in scena Larvale, drammaturgia di Lorenza.
Nel 2013 esce Sogni di Sangue, un racconto per gli 0,99 della Newton. Nello stesso anno la Newton pubblica Con i tuoi occhi, romanzo che ha ridotto l’autrice a un lumicino, ma che ama profondamente e di cui va fiera.
Nel 2015 Lorenza sente la necessità di esplorare un nuovo tipo di scrittura e torna in libreria con Almeno il cane è un tipo a posto, edito da Rizzoli.
Ora vive a Rimini e lavora come freelance scrivendo romanzi, racconti, sceneggiature e facendo docenze anche per la Scuola Holden. Ha scritto diversi racconti pubblicati in antologie edite da Newton Compton, Elliot Guanda. Collabora con la Westegg in qualità di editor e tutor. Il suo prossimo romanzo uscirà nel 2017.

Online:  www.lorenzaghinelli.com

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Le puntate precedenti di “Dentro il racconto”:

1 – Gaspare Burgio

2 – Alessia Savi

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