
Il cielo di pietra, dell’autrice afroamericana N.K. Jemisin, è il terzo volume della Trilogia della Terra spezzata (pubblicata in italiano da Mondadori). Avevo già scritto qualcosa sul primo volume, La Quinta Stagione, e sul secondo, Il portale degli obelischi. E ho imparato una grande lezione: mai più lasciar passare così tanto tempo da un libro all’altro di una trilogia!!!
Ad ogni modo… rispetto ai precedenti, Il cielo di pietra è un libro più complicato, in certi tratti direi anche abbastanza cervellotico, e quindi nel complesso l’ho trovato meno scorrevole degli altri. La trama si dipana seguendo tre linee narrative: due riguardano le azioni e i viaggi delle due protagoniste madre e figlia, la terza è un lungo flashback che getta luce su come ebbe inizio il lungo periodo di sconvolgimenti tellurici contro cui, dall’inizio della saga, le popolazioni del continente detto Immoto devono confrontarsi.
Purtroppo, nonostante l’evidente sforzo profuso nella caratterizzazione dei personaggi e nel descrivere l’evolversi delle relazioni fra di loro, ho avuto la sensazione che il grosso della narrazione fosse concentrato sull’esprimere la visione del mondo dell’autrice, il che è legittimo e anzi auspicabile in qualsiasi libro. Il problema si pone quando questa visione diventa talmente pervasiva da diventare pesante, talvolta superflua, e in ultima analisi una specie di lungo predicozzo che sovrasta la storia invece di rimanere in equilibrio con essa. A prescindere dai sacrosanti valori professati nel predicozzo, avrei preferito un approccio meno sfacciato.
Forse è anche per questo motivo che, nel Cielo di pietra, mi sono soffermata più sulle descrizioni che sugli eventi. La scena finale, per esempio, ha dei connotati praticamente apocalittici ed è resa molto bene, con un passaggio continuo fra l’esposizione di cosa succede sulla Terra e di come ciò si interseca con i sentimenti delle protagoniste, tanto che i loro scopi finali cambiano e passano dall’una all’altra, rendendo le emozioni umane elementi chiave per la risoluzione di eventi di scala planetaria (qualcosa di analogo a quanto avviene nella trilogia della Memoria del Passato della Terra di Cixin Liu).
Ho trovato più interessanti i comprimari rispetto alle protagoniste (ma a dire il vero questo mi capita spesso), ho trovato molto bella la descrizione del viaggio attraverso il deserto e l’esplorazione della città fantasma, e poi… beh, ho trovato insopportabile il fatto che, quando hai due protagoniste e parli di loro per il 70% del tempo, una si chiami Essun e l’altra si chiami Nassun, santa pazienza!
Eppure, con tutti i limiti di questo terzo romanzo, sono contenta di aver completato la serie e sto per mettere le mani su un’altra, The Inheritance Trilogy, sempre di N.K. Jemisin (in origine è uscita fra il 2010 e il 2011, ma in Italia l’ha appena data alle stampe Mondadori). Mi interessa molto vedere se, fin dalle sue prime opere, l’autrice aveva già una scrittura così “militante” o se era più attenta allo sviluppo della storia per il bene della storia stessa, che qui è venuto un po’ a mancare.