Follia di guerra è il titolo di una mostra documentaria che ho visitato questa mattina a Imola (e che rimarrà aperta fino al 2 febbraio), allestita presso la Biblioteca Comunale della città. Il sottotitolo dell’esposizione è Militari in manicomio nel primo conflitto mondiale, un argomento denso e tragico. Consultando questo link puoi trovare alcune informazioni tecniche e una serie di altri link per approfondire.
Da un paio d’anni, la Prima Guerra Mondiale e più in generale i decenni a cavallo fra Ottocento e Novecento riscuotono il mio interesse. Sarà che a scuola questo periodo viene trattato poco e male: agli studenti della mia generazione è stato insegnato sì e no che c’è stato l’attentato di Sarajevo e che da lì in poi, stringendo, è successo un casino dietro l’altro. È interessante studiare la situazione geopolitica in cui la guerra esplose, come e perché le parti in causa finirono alleate o contrapposte le une alle altre, quali furono le conseguenze. Purtroppo, come sempre accade quando si parla di guerra, vengono fuori anche un sacco di orrori impensabili: uno di questi sono i disturbi psichici di cui cadevano vittime molti soldati, spesso ricoverati in strutture psichiatriche. In soldoni, soffrivano di quello che oggi verrebbe chiamato PTSD (disturbo da stress post-traumatico), ma al tempo non si andava per il sottile e a questi militari veniva affibbiato il semplice nome di “scemi di guerra”: nella maggior parte dei casi, ragazzi che erano rimasti bloccati nelle trincee per mesi, esposti al fuoco nemico e al sibilo dei razzi, incapaci di separare gli spaventosi ricordi dalla realtà.
A Imola c’erano ben due di queste strutture mediche, al cui interno i dottori iniziarono a rendersi conto che la follia non aveva sempre e solo cause organiche, come in generale la psichiatria aveva ritenuto fino a inizio secolo, ma poteva essere collegata a fattori esterni – nel caso specifico, le emozioni della battaglia e la vita di trincea. Nei manicomi non c’erano solamente soldati ma anche civili, talvolta donne che erano entrate a contatto con gli orrori dell’invasione asburgica, ad esempio nelle zone venete e friulane dopo la disfatta italiana a Caporetto.
La mostra è stata allestita in una sala piccola ma straordinariamente bella, ed espone tanti documenti dell’epoca: referti medici, esempi di corrispondenza tra i ricoverati e i familiari, disegni dei soldati stessi o di immagini religiose a cui chiedere protezione in vista del ritorno al fronte. Impressionante il cumulo dei faldoni, contenenti la documentazione anagrafica e le cartelle cliniche, raccolti e impilati al centro della stanza: un parallelepipedo di svariati metri cubi, a testimoniare la quantità di persone che erano passate dai due manicomi e che la guerra aveva segnato per sempre. Ho scattato alcune foto, che puoi consultare in questa bacheca di Pinterest (anche se dovrai sopportare i riflessi provocati dai vetri delle teche in cui era disposto il materiale).
Esposizione meritevole, peccato solo per l’assenza di un catalogo illustrato e dotato di contributi critici adeguati. L’opuscolo esplicativo distribuito all’ingresso, per quanto ben realizzato, è poca cosa rispetto a quanto si sarebbe potuto raccontare sul materiale esposto.