Un Iron Man per la mamma
Ci pensavo oggi, giorno della festa della mamma, dopo aver visto i social network brulicare di post, foto, poesie, disegni e quant’altro, dedicati appunto alle mamme. Come pure ci avevo pensato lo scorso marzo, in occasione della festa del papà: io questo enorme trasporto verso i miei genitori, così travolgente da doverlo dichiarare in pubblico, non l’ho mai avuto. Sarà che sono nata in una famiglia di gente fin troppo discreta, poco o nulla abituata a esternare i propri sentimenti: tanto per dire, ho imparato a dire a qualcuno “ti voglio bene” a quattordici anni suonati, grazie a una compagna di scuola del liceo.
Eppure, qualche rotella nella mia testa pare muoversi, da questo punto di vista. Perché, e me ne rendo conto solo a posteriori, sia in The Silent Force che in vari racconti, collegati a TSF o a tema libero, di genitori ho parlato un bel po’. Soprattutto di madri.
Non è che si limitino a comparire qua e là; sono protagoniste a tutti gli effetti, e proprio in virtù del loro ruolo di madri. Prima fra tutte Alecto, la Regina Madre (per l’appunto) del piccolo regno di Tiamat, protagonista di un racconto intitolato (di nuovo per l’appunto) “Regina”. Una, come dire, che sa il fatto suo: non a caso porta il nome di una delle Erinni. Poi c’è Mirella, protagonista di “Tre telefonate e un vassoio di bignè”, una signora un po’ bisbetica, ma dalle risorse insospettabili. E poi ce n’è una senza nome, forse perché rispetto alla situazione allucinante in cui l’ho calata in “Due zollette di zucchero”, ho pensato che fosse meglio non darglielo, un nome, che dovesse rimanere una sorta di Madre Universale.
Se poi penso alle protagoniste di The Silent Force, vediamo un po': la madre di una non la vediamo mai perché è morta parecchi anni prima delle vicende del romanzo, e la sua morte è una ferita che resta sempre aperta; la madre di un’altra è una specie di ameba senza spina dorsale che condiziona la figlia appunto con questo carattere remissivo; la madre della terza la vediamo in una circostanza a dir poco straziante, poveretta; e la madre della quarta è stata… ah, no, questo non lo posso dire. Spoiler, sai com’è. Ma tanto ormai mi conosci, e avrai capito che non ci sarà niente da ridere.
Sui padri nemmeno comincio, altrimenti finirei domattina. Il punto è che, un po’ inconsciamente e un po’ per calcolo, i legami familiari sono un nodo dei miei personaggi che non me la sento quasi mai di tirare via. Sono stanca di leggere storie con protagonisti orfani dalla nascita, o che vivono a mezzo continente di distanza dai genitori, o che hanno con loro contatti talmente sporadici da poterli considerare praticamente privi di famiglia. Non mi sembrano realistici.
Capisco che l’assenza di una famiglia d’origine elimini molti problemi narrativi alla radice, che dia ai personaggi una libertà di movimento altrimenti difficile da ottenere e giustificare. Walt Disney lo sapeva bene. Ma preferisco ammattire cercando qualche giustificazione in più, che cavarmela con “i suoi erano morti da anni”. Senza contare che la morte prematura di un genitore non è comunque una cosa da sottovalutare, nello sviluppo psicologico di un personaggio.
Tornando poi dalla vita scrittevole a quella vera, oggi mia figlia mi ha fatto un regalo per la festa della mamma. Una action figure di Iron Man. Nessuno osi dire che non mi conosce, la mia piccola.
Anche se, insomma, dovrebbe saperlo che la sua mamma è nel #teamCap.