The Goblin Emperor, di Katherine Addison – Fantasy
The Goblin Emperor è stato pubblicato nel 2014; l’anno dopo ha vinto il Locus Award come miglior romanzo fantasy, oltre a entrare nella rosa dei candidati ad altri prestigiosi premi nell’ambito della letteratura di genere fantastico. Katherine Addison è in realtà lo pseudonimo di Sarah Monette, autrice che ha all’attivo diverse altre storie, brevi e lunghe.
The Goblin Emperor non è stato tradotto in Italia, e questa credo sia una grossa perdita per la narrativa fantasy nel nostro paese. Temo che la ragione per questa mancanza sia la stessa per cui il romanzo ha avuto un’accoglienza entusiasta dalla critica anglosassone, e cioè la sua assoluta diversità rispetto agli schemi classici. Ci sono epiche battaglie? No. Viaggi perigliosi in terre lontane? No. Un oggetto da cercare, forgiare o custodire? No. Un protagonista destinato a diventare qualche tipo di super mago o guerriero? No. Incantesimi e creature umanoidi? Ah sì, quelle sì: c’è una magia abbastanza blanda, e l’ambientazione è popolata solo da elfi e goblin (che sono praticamente elfi anche loro, solo con la pelle scura).
Venendo al sodo: il protagonista si chiama Maia ed è mezz’elfo e mezzo goblin, nonché figlio bastardo dell’imperatore locale. Nessuno se lo è mai filato, anzi lo hanno spedito a vivere in un posto sperduto e dimenticato da tutti, dove ha dovuto soffrire il dolore di perdere l’adorata madre quando lui aveva appena una decina d’anni, e la scocciatura di essere affidato a un cugino che gli fa da tutore, un tizio prepotente, sadico e insopportabile. Senonché, quando Maia ha sui 18-19 anni, arriva la notizia: il padre è rimasto ucciso in un incidente con un’aeronave, e insieme a lui anche i figli nonché eredi al trono. Chi è adesso la prima persona nella linea di successione della dinastia imperiale? Maia. Il quale, timido giovane e inesperto, si ritrova a diventare imperatore in una corte vincolata da cerimoniali rigidissimi, sfilze interminabili di questuanti che richiedono ogni tipo di favore, servitori che non possono mai, ripeto MAI, lasciare l’imperatore da solo.
L’intero romanzo consiste sostanzialmente in questo: nel percorso che Maia finisce per compiere in modo da adattare se stesso al nuovo ruolo, e il nuovo ruolo a se stesso. Maia ha il sospetto che l’incidente occorso all’aeronave del padre sia stato in realtà un sabotaggio; indaga lui? No, affida le indagini a un bravo investigatore. Maia è il bersaglio di almeno un paio di congiure di palazzo: si difende eroicamente? No, a queste cose pensano le guardie del corpo. Maia, dal punto di vista pratico, non fa NIENTE. Tuttavia, nella sua graduale maturazione e nel tenere fede ai preziosi insegnamenti della madre (unica persona decente e anzi amorevole, in un mare di cortigiani imbalsamati), sovverte tutte le regole, ottiene il favore del popolo, rifonda un’intera corte imperiale. Non fa niente, eppure cambia tutto. Correndo, in effetti, qualche rischio.
In aggiunta a questa struttura così originale, e al modo in cui il lettore si sente vicino a Maia e condivide le sue battaglie fatte di parole, ossequi e udienze, The Goblin Emperor vanta anche un worldbuilding complesso e affascinante, e una serie di convenzioni linguistiche utili a far sentire ancor di più la distanza fra un ragazzo di periferia e il mondo che gli era sempre stato precluso. Per chi mastica l’inglese e ama la narrativa fantasy, secondo me è un romanzo straordinario (di cui è già uscito un primo spin-off, The Witness for the Dead, e sta per uscire un secondo, The Grief of Stones).