So long, Rutger Hauer
Rutger Hauer è mancato il 19 luglio, ma la notizia è stata data solo un paio di giorni fa. Per chi, come me, ama la narrativa del fantastico, Blade Runner e Ladyhawke sono pezzi di cultura visiva da cui non si può prescindere, sono scolpiti nella memoria.
Se Blade Runner (1982, regia di Ridley Scott) l’ho visto per la prima volta quando già era un cult famoso, con Ladyhawke (1985, regia di Richard Donner) mi è toccato un impatto molto più spontaneo: un banale passaggio in tv, che avevo videoregistrato con il primissimo videoregistratore mai entrato in casa mia. Era un regalo che mio padre aveva ricevuto da un gruppo di colleghi e funzionava con le videocassette Betamax, quelle che nel tempo avrebbero perso la sfida contro le VHS destinate a divenire lo standard usato ovunque. L’avevo battezzato Mito, perché dal mio punto di vista risolveva un mucchio di problemi e aumentava di taaanti punti la mia reputazione con amici e compagni di scuola. Unica controindicazione: ogni volta che gli si dava un’istruzione (play, rewind, stop…), Mito produceva un rumoraccio che suonava più o meno come SCROCK e faceva temere per la sua salute e per quella della videocassetta.
Il povero videoregistratore, che già aveva subito un certo numero di riparazioni, si ruppe definitivamente qualche mese dopo, fra gli improperi di mio padre che mi accusava di averlo rovinato a furia di SCROCK: manda avanti e indietro per rivedere una canzone del Festivalbar, manda avanti e indietro per rivedere una sigla, manda avanti e indietro per rivedere i brani più appassionanti di qualche film o telefilm. Ho il forte sospetto che Ladyhawke abbia giocato una parte importante per la sorte di Mito: avrò guardato dozzine di volte la sigla con colonna sonora di Andrew Powell (uno degli Alan Parsons Project), la scena della trasformazione, quella in cui compare per la prima volta il lupo, quella in cui Etienne Navarre entra a cavallo nella chiesa e molte altre. E niente, ci sono fotogrammi di Rutger Hauer che da quella volta ho stampati dentro la testa: gli occhi glaciali, i mezzi sorrisi, l’atteggiamento severo. Quel personaggio aveva tutto ciò che serviva a piacermi; ha giocato un ruolo importante nella costruzione del mio immaginario e quindi, a cascata, in una serie di scelte che avrei compiuto nel corso degli anni e di cui, guardando indietro, sono contenta.
Quindi… so long, Rutger. È stato un piacere e ti sono pure debitrice di qualcosa (ma tu mi sei debitore di Mito, eh).