Sandokan – Icone 3
Colpo di fortuna numero uno: avere una sorella tredici anni più grande di te. Vai alle elementari, ti insegnano a leggere e ti ritrovi la casa già strapiena di libri, quelli che dal dopoguerra in poi sono universalmente considerati i classici per ragazzi (a volte semplicemente perché le collane degli editori li catalogano come tali). Dozzine di volumi con fiabe, filastrocche, leggende; romanzi di Dickens, Verne, Alcott; riduzioni di saghe mitologiche greche, indiane, norrene. E poi novanta volumi, dico novanta, contenenti la stragrande maggioranza delle opere di Emilio Salgari, inclusi alcuni racconti brevi. La collana “Tigri e Corsari” dei Fratelli Fabbri Editori, quella con il titolo scritto a caratteri cubitali tutt’intorno alla copertina. Ne mancava un numero solo, il 62 (“Il bramino dell’Assam”), incautamente prestato da mia sorella a un amico poi perso di vista: ne ho trovata una copia qualche anno fa su ebay e ho ripristinato la collezione completa. Il mio preferito era Le due tigri, con la resa dei conti fra Sandokan e Suyodhana. Credo di averlo letto almeno cinquanta volte.
Colpo di fortuna numero due: avere cinque anni (l’età in cui ti si spalancano gli occhi sul mondo e ogni cosa ti sembra maestosa, sacra, sbalorditiva) quando in televisione debutta Sandokan, lo sceneggiato in sei puntate, quello con Kabir Bedi, quello con l’indimenticabile sigla, con la bandiera della tigre gialla in campo rosso fuoco (siamo nel 1976).
Colpo di fortuna numero tre: avere una cugina tua coetanea, con cui trascorri le vacanze, maschiaccia quanto te. Così passate estati intere giocando con soldatini, carri armati, armi di legno, bici da cross e vari tipi di Big Jim, alcuni dei quali ispirati proprio alla Tigre della Malesia e ad altre storie di pirati. Con quei pupazzetti si possono ricreare avventure di ogni tipo, i ricordi dei libri si mescolano alla fantasia e i personaggi di Salgari rivivono per l’ennesima volta.
Tra le riletture dei libri e le repliche dello sceneggiato in tv, credo di essere arrivata almeno alle scuole medie prima di annoiarmi. Nel frattempo erano arrivate le serie animate giapponesi, con relativi giocattoli, che avevano assorbito una parte del mio interesse. Ma se Actarus è stato il mio primo amore (a dire il vero, se la giocava con Capitan Harlock e Lady Oscar), di sicuro Sandokan è stato il mio primo amico. Quello con cui avrei voluto solcare i mari, maneggiare pugnali dalla lama serpeggiante, sterminare orde di Sepoy e arrampicarmi sui baobab per sfuggire alle aggressioni di pericolosi animali selvatici.
Non era l’unico personaggio salgariano ad avermi colpita. C’era la saga del Far West, dominata dalla scotennatrice Minnehaha, un personaggio di tale ferocia da non potermi lasciare indifferente – e poi era una donna! Ma Sandokan, che inevitabilmente nella mia immaginazione aveva il volto di Kabir Bedi, era un’altra cosa. Era un personaggio travolgente, definito dalle sue emozioni prima ancora che dalle sue azioni, guidato con prepotenza da sentimenti incontrollabili, come fosse schiavo di se stesso. Sandokan non grida, lui ruggisce. Non piange, lui singhiozza. Anche nei suoi momenti più forti e virili (uccide tigri, sfida a duello avversari pericolosissimi, evade da prigioni inespugnabili) rimane umano e vulnerabile, tanto da fare quasi tenerezza. Un gigante buono, uno spietato guerriero capace di trasformarsi nel più gentile degli amanti e nel più fraterno degli amici.
Mi riuscisse mai di creare un personaggio in grado di comunicare qualcosa del genere anche solo per una riga, mi considererei un’artista. Nel frattempo mi accontento di ritrovare un po’ dell’antica fascinazione sfogliando una bella edizione di venti romanzi salgariani fra i più famosi, uscita nel 2011 per commemorare i 100 anni dalla morte dell’autore. Contiene le annotazioni di Mauro Spagnol, riprese dall’edizione di quegli stessi venti titoli uscita nel 1969, più una quantità di immagini d’epoca e riproduzioni di vecchie copertine una meglio dell’altra. Non era certo stata l’unica iniziativa salgariana del 2011, ma per le altre ti rimando a questo articolo del grande Gianni Brunoro.
Alla fine, a me premono solo due cose. Una, che Sandokan è stato mio amico. Due, che forse un giorno sarà amico anche di mia figlia, il che è uno dei motivi per cui me li tengo stretti, quei venti libri. Mica posso fregare la collezione da novanta volumi a mia sorella, mi affetterebbe a colpi di scimitarra.