Piccole Donne – CrossMedia
Piccole Donne (in originale Little Women, 2019, regia di Greta Gerwig) è uscito al cinema in Italia da pochi giorni e la mia cine-socia Hilda (la coautrice del chick-lit) mi ci ha trascinata quasi subito. Alla mia domanda “Ma veramente a te interessa Piccole Donne?!?”, la risposta è stata: “Solo perché c’è anche Meryl Streep nel cast, non ti abituare”.
Invece, guarda un po’, siamo uscite contente! Solitamente non amiamo i “classiconi”, li troviamo un po’ troppo pomposi per i nostri gusti, troppo ottocenteschi e spesso strappalacrime – con le dovute eccezioni, naturalmente. Louisa May Alcott non era il genere di autrice che mi interessava quando ero ragazzina, però a suo tempo ho comunque finito per leggere Piccole Donne (in questa edizione Malipiero nientemeno che del 1969, proprietà di mia sorella, dalla copertina discretamente stucchevole) e scoprire con una certa soddisfazione che parlava proprio di una maschiaccia irrecuperabile come me. Quindi sono contenta di averne trovata una trasposizione così scattante e moderna, sebbene il periodo storico sia sempre quello: insomma un CrossMedia come si deve. Ti sottopongo una raccolta di quattordici ragioni per apprezzare il film, in ordine rigorosamente sparso.
Attenzione, da qui in poi ci sono degli spoiler: non procedere con la lettura se ti danno fastidio.
1 – Meryl Streep: perché anche se interpreta un personaggio secondario come zia March, è sempre Meryl Streep e le basta anche solo una battuta, dico una, per lasciare il segno.
2 – Saoirse Ronan: perché dopo quel mappazzone di Maria regina di Scozia, in cui avevo trovato la sua interpretazione forzata e sopra le righe (presumo per via del personaggio e della sceneggiatura), l’ho potuta apprezzare in un ruolo comunque d’impatto ma più misurato e ordinario.
3 – L’alternanza temporale: perché ha sicuramente conferito al film più dinamismo, e la possibilità di indagare i cambiamenti e l’evoluzione della protagonista, Jo March, dal passato al presente.
4 – Il finale della storyline sentimentale di Jo: perché è un gioco fra film e spettatore, quello di considerare il matrimonio della protagonista un epilogo dovuto a un compromesso meta-narrativo di cui erano state poste le basi fin dall’inizio.
5 – Il signor Dashwood: perché è un personaggio che rimane coerente e non cede a un’improbabile conversione sulla via di Damasco per quel che riguarda il destino dei personaggi femminili nei romanzi. Dopotutto, lui pensa agli affari.
6 – Le figlie del signor Dashwood: perché inseriscono un tocco di femminilità dove non ce lo si aspettava (e infatti, senza di loro, il padre non avrebbe intuito le potenzialità del romanzo di Jo).
7 – Amy: perché è il personaggio che, nell’arco temporale in cui si svolge la storia, cambia di più. Parte come una bambina capricciosa (e nei panni di Jo anche io non l’avrei sopportata), diventa una ragazza che raggiunge la consapevolezza dei suoi limiti (probabilmente l’impresa più ardua per chi ha velleità artistiche) e arriva a essere una giovane donna che fa pace con se stessa e le sue ambizioni.
8 – La consapevolezza di Beth: perché dona spessore a un personaggio talmente bravo, buono, dolce e talentuoso da non essere credibile. Mai un capriccio, mai una parola fuori posto… troppo santarellina, rispetto ai miei (opinabilissimi) gusti. Ma la scena sulla spiaggia, in cui si dice consapevole di andare incontro giorno dopo giorno a una lenta morte, è toccante.
9 – Friedrich Bhaer: perché è forse il personaggio più realistico, e d’altra parte sfido chiunque a corteggiare una soggetta come Jo March senza sentirsi la terra tremare sotto i piedi.
10 – Emma Watson: perché fa sempre la sua splendida figura in qualunque ruolo la si metta, anche in quello tutto sommato più tradizionale che spetta a Meg.
11 – Il rapporto fra Beth e il signor Lawrence: perché è commovente, sia per dove affonda le radici, sia per come si evolve anche con il resto della famiglia March.
12 – Laura Dern: perché il suo personaggio, la signora March, rischia di scadere nel buonismo esasperato e invece questa gran professionista di un’attrice (uno di quei visi rassicuranti che ti ricordi da cento altri film e telefilm) l’ha resa stanca e sofferente quanto basta, senza eccessi melodrammatici.
13 – Il finale della storyline di tutta la famiglia, che pone (in maniera più o meno palese) i concetti di scuola e istruzione come basi per l’emancipazione femminile, di ogni tempo e luogo.
14 – La colonna sonora di Alexandre Desplat, gradevole senza essere invadente, e molto suggestiva soprattutto nella scena (studiata al millimetro proprio per combaciare con il brano, con un arrangiamento in crescendo e l’aggiunta di uno strumento dietro l’altro, tecnica banale ma che funziona sempre) in cui Jo si chiude in soffitta a scrivere come una forsennata, dopo la morte di Beth. Ispirata da Beth. Scrivendo PER Beth, e questa è stata la parte che più mi ha coinvolta e commossa.
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CrossMedia è una rubrica che prende in esame le trasposizioni cross-mediali di opere narrative: da libro a film, da fumetto a libro, da film a musical, da fiaba a balletto classico…