Missione: clausura in biblioteca
Ordunque, una delle mie “talpe” sparse per il paese mi ha detto che, da qui a un paio di mesi, ci sarà un eventuccio interessante al quale gli aspiranti autori possono portare i loro manoscritti e incontrare editor e agenti letterari. Come al Women’s Fiction Festival di Matera, unico evento del genere a cui io abbia mai partecipato.
Avevo partecipato, però, senza sapere a cosa andavo incontro e senza conoscere a fondo le esigenze di mercato e i generi su cui, nell’80% dei casi, si sarebbero concentrati i professionisti presenti. Risultato: dal punto di vista delle lezioni da imparare è stato illuminante, idem per i contatti presi in loco (che avrebbero avuto belle conseguenze in seguito), senza contare la bellezza di Matera che merita almeno una visita nella vita di ciascuno; ma la resa concreta, per me, era stata nulla – ne avevo già parlato in questo post.
Adesso una mezza idea in più su come funzionano questi eventi ce l’ho, idem un approccio più saggio. Insomma, ho studiato. Se in questi due mesi riuscissi a lavorare ventre a terra, potrei ritrovarmi in tempo utile con DUE manoscritti da proporre – magari non perfetti ma almeno completi, che già sarebbe un risultato niente male.
Per questo motivo, quando è possibile, la mattina scarico Mini-Velma a scuola e poi mi infilo dritta nella Biblioteca Gambalunga, armata di portatile, astuccio, quaderno per appunti e bottiglietta d’acqua.
Mi piace un sacco, la biblioteca. C’è silenzio, non c’è troppa gente, zero distrazioni. È l’ambiente dove riesco meglio a concentrarmi e a produrre la mia dose quotidiana di parole scritte. Poi c’è un mucchio di libri a scaffale aperto, basta frugare tra le costine e si trova sempre uno spunto, un titolo interessante, un autore di quelli sempre adocchiati e sempre rimandati. E c’è questa iniziativa simpatica che si chiama “Freschi di stampa”: ovvero, il personale della biblioteca espone, su un paio di grossi mobili e su degli scaffali, i libri arrivati di recente, tutti belli etichettati e foderati. Così uno può sfogliare, leggere le bandelle, farsi un’idea delle novità.
Però, confesso, la parte migliore è osservare le altre persone che siedono nelle sale di studio e di lettura: studenti chini sui libri, pensionati accampati nella zona delle riviste e dei quotidiani, appassionati di storia locale che colonizzano l’emeroteca, perfino qualche senzatetto che si apparta in un angolo a leggere Tex ma, in sostanza, cerca soprattutto un posto dove stare. Fra i frequentatori più assidui, alcuni arrivano forniti di acqua e merenda di metà mattina: ormai la stagione degli agrumi si avvia alla fine, ma c’è sempre, dico sempre, chi si porta i mandarini.
Ecco, quando li sbucciano e la loro fragranza si spande per le sale, mi sento bene. È come se una dimensione ulteriore, più intima e domestica, si aggiungesse alle tante già presenti in un luogo così silenzioso, coeso, maestoso. Per me, la biblioteca ha il sapore del mandarino. Ma ha anche il profumo del bicchierino di cioccolata calda che mi concedo a metà mattina, quando il calo di zuccheri si fa sentire. Alla fine, i riti tanto cari al Piccolo Principe sbucano un po’ dappertutto.