“Lo scialle” di Cynthia Ozick – Librini 1
Chiamo “librini” dei racconti, o romanzi brevi, che trasmettono molto anche se di spazio ne occupano poco. Ce ne sono di famosissimi e di semisconosciuti. Ogni tanto te ne vorrei proporre qualcuno.
Il “librino” di oggi è: Lo Scialle, di Cynthia Ozick, Universale Economica Feltrinelli, 90 pagine.
Domani è la Giornata della Memoria. Quindi ho pensato di inaugurare l’ennesima rubrica del mio blog con un libro che parla non semplicemente di Olocausto e campi di concentramento, ma anche – per l’appunto – della Memoria: quella persa, quella impossibile da perdere, quella che non abbiamo mai avuto.
Cynthia Ozick è nata a New York nel 1928. Non è mai stata in un campo di concentramento, ma è ebrea: da un lato non è stata personalmente colpita dall’Olocausto, dall’altro appartiene alla stirpe che ne ha sofferto. Non lo ricorda di persona, ma lo conosce attraverso la sua gente (ad esempio ne parla in questa intervista, collegandolo alle attuali vicende politiche di Palestina e Israele) e quindi ne conserva una sorta di memoria collettiva da cui dev’essere partita per scrivere nel 1980 uno dei suoi racconti brevi più riusciti, “Lo scialle”: una storia talmente cruda da renderne difficile la lettura.
Tre anni dopo, quindi nel 1983, Ozick scrive un altro racconto, più lungo: “Rosa” (dal nome della protagonista). Consiste nel seguito del precedente, con uno stacco temporale di diverse decine d’anni fra l’uno e l’altro. Racconta l’impossibilità di dimenticare o di ricominciare, la condanna che i ricordi infliggono quando sono troppo brutali per essere scansati, la reticenza ad aprirsi al resto del mondo.
“Una scappata alla spiaggia. Una passeggiata in riva al mare, che ne pensa?”
“L’ho già fatta,” disse Rosa.
“Quando?”
“Stasera. Proprio ora.”
“Da sola?”
Rosa disse: “Cercavo qualcosa che ho perso.”
“Povera Lublin, che cosa ha perso?”
“La mia vita.”
Ozick scrive in un modo talmente asciutto ed essenziale che ti arriva addosso, diretto come il proverbiale cazzotto allo stomaco. Non fa sconti su COSA racconta, né su COME lo racconta. È successo quel che è successo, senza se e senza ma. Le conseguenze sono state quelle che sono state, non c’è santo che tenga. Il senso di ineluttabilità è, secondo me, il punto essenziale di questa prosa.
I due racconti sono ora pubblicati insieme, sotto il titolo comune Lo scialle. Andrebbero letti anche solo per sperimentare quanto la letteratura possa ferire: come la più affilata delle lame.