Letture di settembre 2020
“Piatto ricco mi ci ficco”. Ovvero a settembre ho fatto indigestione di letture, forse complice il calo delle temperature che mi risveglia il cervello dopo il coma estivo.
Ho iniziato con La ferocia, romanzo edito da Einaudi che nel 2015 è valso il Premio Strega al suo autore Nicola Lagioia (attuale direttore del Salone del Libro di Torino), un discreto malloppo di 400 pagine che ondeggia fra il giallo, il thriller e il mainstream di denuncia. La morte improvvisa di una giovane donna è la goccia che fa lentamente traboccare un vaso il quale andava riempiendosi da anni di soprusi, atti di corruzione, prepotenze, macchinazioni, passaggi di denaro sporco e, più ancora, sopraffazioni e incomprensioni che hanno disgregato un tessuto familiare oltre ogni speranza di ricucitura. Ho empatizzato soprattutto con Michele e Ruggero, i figli del padre-padrone Vittorio, soverchiati da questa presenza così ingombrante e capace di far passare per normale una serie di comportamenti passibili (letteralmente) di denuncia; e forse, proprio questo perdurare di Vittorio nella convinzione (sincera?) che il suo modo di affrontare la vita sia normale, è la causa ultima di quella goccia scivolata dal vaso. Stilisticamente il romanzo è fin troppo impegnativo: spesso mi è parso enfatico, verboso e autocompiaciuto. Anche la trama “misteriosa” in quanto tale è abbastanza esile: a colpire è soprattutto la rete malata di relazioni che si agita sullo sfondo dell’evento catalizzatore.
Fazzoletti rossi, di Roberta Marasco (ed. Piemme), l’ho rubacchiato a mia figlia che lo aveva letto durante l’estate, e l’ho trovato un romanzo per ragazzi di una scorrevolezza as-so-lu-ta. È questo il primo pregio a venirmi in mente. La scioltezza con cui si passa dai pensieri dell’una a quelli dell’altra protagonista, la naturalezza con cui ciascuna delle due descrive le proprie esperienze, l’uso e il tono ben studiato dei messaggi Whatsapp, la presenza dei social nelle vite di adolescenti e preadolescenti: tutto scorre veloce e chiaro. Ho apprezzato anche i personaggi, ciascuno pennellato in modo efficace e senza inutili lungaggini, cosicché il tema fondamentale non andasse perso in mezzo a un contesto per forza di cose molto popolato (e comunque io con le storie corali ci vado a nozze). Una trama centrata, senza sbavature. Nota a margine: io non avevo capito l’identità della misteriosa fan che scrive a una delle protagoniste, mia figlia invece sì.
De La metamorfosi di Franz Kafka e della sua capacità di metterti al tappeto ho già parlato in questo post. Allo stesso àmbito, quello dei pugni dello stomaco, appartiene Satantango, opera di László Krasznahorkai (in italiano per Bompiani), che pare sia il massimo scrittore ungherese vivente, e che nel 2015 è stato insignito del Man Booker International Prize. All’inizio ho faticato a ingranare, poi capitolo dopo capitolo il romanzo mi ha catturata. La storia riguarda un gruppo di residui umani del regime sovietico, incapaci di rifarsi una vita e condannati a rimanere incatenati al loro vecchio paese in rovina, ubriacandosi o estraniandosi in altri modi dalla realtà, e inseguendo stupide illusioni nella persona di un mezzo truffatore che riesce in qualche modo a catturare il loro interesse. Ci sono tanti motivi per adorare questo romanzo: il senso di desolazione e abbrutimento, che diventano tutt’uno con la pioggia e il fango; la galleria di personaggi, ciascuno con un tratto che lo distingue ma senza farlo diventare stereotipo né macchietta; l’inserimento di elementi magici, inspiegabili, che in un contesto del genere spaventano più che incuriosire. E una grande padronanza dello stile, con scelte radicali ma, nella maggior parte dei casi, dotate di un loro stravagante senso: bellissima ad esempio la descrizione dei sogni, che rinuncia gradualmente alla punteggiatura, alla sintassi e perfino all’ortografia, proprio come i sogni diventano più insensati e confusi man mano che si passa dal dormiveglia al sonno profondo. E tragico il finale, che sanziona un’amara invariabilità come vera protagonista del romanzo. Forse alcuni passaggi sono troppo prolissi e insistiti, ma si tratta di peccati veniali in un libro che mi ha commossa fino alle lacrime (la scena della fisarmonica sullo sfondo degli ubriachi addormentati è struggente). Satantango è un libro difficile, che richiede impegno e concentrazione, ma ripaga di tutto.
A questo punto ho interrotto per un momento la narrativa e mi sono data alla manualistica con un testo di Silvia Pillin, ovvero Annunci Facebook per scrittori (self-published). Si tratta di un compendio breve ma piuttosto utile su come predisporre e ottimizzare le inserzioni pubblicitarie sul social network più diffuso nel mondo, in modo particolare per quel che riguarda i libri. Sento parlare da anni di queste inserzioni e del fatto che attivarle (con la giusta oculatezza riguardo alle cifre da investire, a maggior ragione nell’ambito del sottobosco editoriale in cui di grosse cifre non ne girano) sia uno dei pochi modi per guadagnare visibilità e interesse presso un potenziale pubblico che Facebook, grazie ai dati incamerati in anni di post, emoticon e commenti, riesce a individuare. È possibile che competenze di questo genere possano servirmi in futuro, quindi perché non iniziare a infarinarsi; e questo libro, sintetico e scritto in modo semplice, può essere un buon inizio.
Un altro testo self-published che aspettava da tempo la mia lettura è Il capro vol. 1: Crisalide, di Brandon Casavecchia, pseudonimo sotto il quale si nasconde una mia conoscenza di molti anni fa. Questo action-fanta-thriller è stato una sorpresa assoluta, perché di fianco a una trama a metà fra l’hard boiled e il fumetto di supereroi (l’ho detto che era una vecchia conoscenza, no?) ho sì trovato un insieme di ingenuità formali e di passaggi piuttosto acerbi, ma anche un lessico mai banale e diverse invenzioni stilistiche degne di nota. In un mare di esordienti che autopubblicano libri infarciti di espressioni banali e descrizioni da lista della spesa, parlando del proprio lavoro come se meritasse un Pulitzer, è incredibile trovare un livello ben più alto nel testo di un esordiente… che ha smesso di diffondere il suo lavoro perché lo trova di qualità troppo bassa per essere messo in circolazione e che, pur avendo due seguiti pronti, non intende pubblicarli prima di averli portati a un livello decente. Chapeau.
Alla serie “urca da quanto tempo mi aspetta sullo scaffale” appartiene anche L’attentissima, romanzo di Teresa De Sio (sì, la cantante) pubblicato qualche anno fa da Einaudi. In teoria sarebbe un thriller, la storia di un assassino che prende di mira ragazzini in età da scuola media, ma la trama sembra più un pretesto per raccontare la storia di una transizione M-to-F e delle diverse fasi, mentali e fisiche, necessarie per arrivare a vivere una nuova identità in modo completo sotto ogni punto di vista. Molto spazio e molta attenzione sono dedicati alla preadolescenza del protagonista, a quel periodo della vita in cui iniziano a insorgere dubbi e desideri, in un contesto che tende ad approfittare della sua ricerca di un’identità, o in alternativa a fuggirla, ma di certo non a comprenderla né a rendere più semplice la sua conquista (e questo vale per ogni ambiente sociale: la famiglia, gli amici, la scuola, i vicini). Mi sono piaciuti lo stile, il vocabolario, il ritmo. Peccato per lo “spiegone” finale; perdonabile essendoci una trama anche poliziesca, ma forse sarebbe bastata un po’ di attenzione in più. Comunque una bella lettura.
Divertente, però meno appassionante di quanto mi aspettassi, è stata La trilogia steampunk dello scrittore americano Paul Di Filippo, volume edito da Mondadori nella collana Urania Collezione, che comprende tre romanzi brevi di questo autore: Vittoria (1991), Il feticcio rubato (mai pubblicato prima) e Walt ed Emily (1993). Ciascuna di queste storie parte da un’idea simpatica e originale, spesso agganciata alla realtà storica con l’inserimento di personaggi realmente esistiti, ed è raccontata con abilità e con un gradito afflato ironico; senza contare le ambientazioni, con quel tocco à la Jules Verne, fra albori di tecnologia e suggestioni pseudo-scientifiche. Eppure nessuno dei tre romanzi mi ha veramente coinvolta fino in fondo, come se la capacità inventiva non procedesse di pari passo con l’abilità di costruire un ritmo narrativo crescente, che porta il lettore a temere per e con i personaggi, e ad attendere il climax col cuore in gola. Ci sono momenti intensi e colpi di scena (la scoperta della povera Emily Dickinson riguardo il suo amato Walt Whitman è uno di questi), però mi è mancato un coinvolgimento più profondo.
Il paranormal romance è un genere che frequento pochissimo, ma uscire ogni tanto dalla comfort zone fa bene. Di questo Tattoo & Spirit, scritto da Antonia Iolanda Cudil (self-published) mi incuriosiva poi che fosse la versione rivista e aggiornata di un testo in precedenza serializzato online: volume unico e serialità hanno ritmi ed esigenze spesso diverse, non è facile metterle insieme (altrimenti tutti i romanzi d’appendice ottocenteschi a quest’ora sarebbero dei classici). Bene, mi fa piacere dire che il testo rimane leggibile e scorrevole, in qualche caso si nota una tendenza a riproporre certi frangenti eppure senza pesantezza, è più come se la protagonista “ricascasse” in determinate situazioni ma con dei motivi. Altro pregio, almeno rispetto ai miei gusti: un mucchio di personaggi! È una trama corale, piena di gente, e anche se in questi casi si fa sempre un pizzico di fatica in più a seguire tutti i soggetti in gioco, ne vale la pena. Intrigante il fatto che le differenze tra buoni e cattivi siano sfumate: molti personaggi, che all’inizio si presentano in un certo modo, poi rivelano aspetti più sfaccettati. Sopravvivono alla revisione finale alcuni refuso, alcuni errori, alcuni passaggi incerti, eppure la storia resta godibile.
Per ultimo ho completato un libro di saggistica che andavo centellinando da mesi, ovvero Mondi seriali: percorsi semiotici nella fiction, volume collettivo edito da RTI a cura di Maria Pia Pozzato e Giorgio Grignaffini, che contiene una serie di saggi, prevalentemente a impostazione semiologica, dedicati al mondo della fiction seriale televisiva, italiana ed estera. I vari contributi ne analizzano i meccanismi testuali e narrativi, però con un occhio rivolto anche alla commercializzazione, alla moltiplicazione dei format da un paese all’altro e all’impatto sul pubblico. Naturalmente non è una lettura da affrontare per svago bensì per studio, per saperne di più, per allenare la mente a conoscere e a individuare, su altri testi, i meccanismi di cui sopra. Purtroppo il libro è introvabile se non nel mercato dell’usato e nelle biblioteche, tant’è vero che io ho dovuto farmelo prestare da un’amica; sarebbe auspicabile che di volumi come questo venisse almeno reso disponibile l’ebook.