Letture di Ottobre 2022
Aaaah, l’autunno. Finalmente temperature in discesa, qualche giornata freschina, le prime tazze di tè caldo, stare accucciata sul divano con i miei cani e una pila di libri da leggere.
E anche, ehm ehm, una TBR list da completare entro fine anno (perché, tanto per cambiare, sono in ritardo con la tabella di marcia). Dei titoli di genere fantasy o fantascientifico ho già parlato nei post a loro dedicati: si trattava di The Chimes di Anna Smaill e di Ancillary Sword di Ann Leckie. C’è stato poi Lasciami andare, madre di Elga Schneider, sempre in un post a parte per la rubrica “Librini”.
Ho proseguito con i miei tentativi di venire a contatto con autori giapponesi che non fossero i soliti mostri sacri, e in questo caso mi sono buttata su I miei giorni alla libreria Morisaki, di Satoshi Yagisawa (ed. Feltrinelli). E niente, non ce la posso fare. Come già mi era successo con Se i gatti scomparissero dal mondo di Genki Kawamura (su cui ho scritto qualcosina in questo post), e con Il gatto che voleva salvare i libri di Sosuke Natsukawa, questi nuovi autori tanto in voga non mi soddisfano. Non so, forse sono diretti a un pubblico più giovane di me (non che ci voglia tanto), lettori che possono ancora trovare soddisfazione in situazioni un po’ adolescenziali, in romanzi di formazione non troppo ambiziosi. In questo caso, la classica storia di una ragazza in crisi d’identità, diciamo così, che ritrova se stessa grazie a uno zio un po’ scombinato e alla sua vecchia libreria, che peraltro si trova in un quartiere strapieno di librerie. Devo dire che, dal punto di vista formale e stilistico, I miei giorni alla libreria Morisaki mi pare qualche spanna sopra gli altri, che dal mio punto di vista sono troppo “mangheggianti”. Insomma trovo che Satoshi Yagisawa scriva meglio (o che sia stato tradotto meglio, non saprei) e che sappia rendersi gradevole: non uno di quegli autori di cui leggeresti pure la lista della spesa, ma se non altro uno scrittore dotato dei suoi tratti distintivi, uno che ti dà un senso di maturità.
Mi sono poi buttata sul quarto volume dell’Amica Geniale: Storia della bambina perduta, di Elena Ferrante (pubblicato dalle edizioni e/o). È forse il volume più crudo della tetralogia, quello in cui tanti nodi vengono al pettine, in cui ciascuna delle due protagoniste va a sbattere contro i momenti più difficili, quando si perdono le persone care e si perdono le coordinate della propria vita; situazioni in cui perfino i legami più profondi si stiracchiano fino a spezzarsi. In particolare, mentre una delle due protagoniste deve fronteggiare le conseguenze di un errore colossale compiuto a causa di una passione bruciante, l’altra viene travolta da un evento tragico e inspiegabile, di quelli da cui è impossibile riprendersi (anche per l’eterno interrogativo a cui la condanna). A questo punto, se Elena Ferrante fosse un’autrice di cassetta, riscriverebbe la saga dal punto di vista di Lila; siccome invece è una scrittrice di razza, lascerà per sempre noi lettori a chiederci se c’è un’altra Lila da scoprire, e non solo quella filtrata dai ricordi e dai sentimenti di Lenù. Proprio quello che succede a tutti noi, con le nostre amicizie e conoscenze.
Infine, ho iniziato a recuperare i numerosi libri di Paola Barbato che ho sempre acquistato sulla fiducia appena usciti, ma non ho ancora letto. Si parte con Non ti faccio niente (ed. Piemme), che mi ha a dir poco entusiasmata. Il motivo è semplice: è stracolmo di personaggi! So che alcuni lettori preferiscono storie con un numero contenuto di protagonisti, così da essere certi di non confondere i nomi e di non perdere il filo. Io piuttosto rileggo ogni capitolo cento volte ma la presenza di tanti nomi e tanti percorsi mi rende euforica, e qui c’è da sbizzarrirsi tra ex-vittime di rapimento, attuali vittime di omicidio, ex-colpevoli in cerca di redenzione, ispettrici di polizia che si guardano in cagnesco ma si costringono a collaborare… e ciascun personaggio è ben cesellato, ha una personalità, delle fisse, degli schemi mentali, delle ossessioni. Insomma una lettura trascinante. E poi, naturalmente, il marchio di fabbrica dell’autrice: i finali di una cattiveria estrema! Spesso non si accordano con la mia visione del mondo che è meno cupa della sua, ma proprio per questo mi colgono di sorpresa (perché la zampata finale tutto sommato me l’aspetto, ma mai così ardita) e mi donano il piacere di sentirmi spiazzata.