Letture di Ottobre 2019
È stato uno di quei mesi in cui si inizia con determinati programmi e si finisce per sballarli tutti. Letture comprese. Ero partita con l’intenzione di sguazzare in mezzo a una serie di libri che nell’ultimo lustro hanno vinto premi prestigiosi (soprattutto oltreoceano, soprattutto nell’ambito di fantasy e fantascienza); poi invece ho seguito l’istinto… e lo spulciamento in libreria.
Anzitutto, mi sono presa una pausa dalla maratona Harry Potter; immagino che sesto e settimo volume saranno un crescendo continuo (almeno in base a come è andata evolvendosi la saga nei primi cinque libri) e, anche considerata la loro mole, preferisco “riposare mentalmente” per qualche settimana prima di affrontarli. In secondo luogo, mi sono allontanata quasi del tutto dalla narrativa e ho virato sulla saggistica, a cominciare dal quel libercolo intitolato Camminare, scritto da Henry David Thoreau, di cui ti ho già raccontato qualcosa in questo post.
Gironzolando in libreria, ho ceduto all’acquisto di tre best-seller su argomenti di attualità. Il primo è La mattina dopo (ed. Mondadori) di Mario Calabresi, giornalista che ho sempre apprezzato e di cui ho diversi libri. Non sapevo che fosse stato licenziato dalla direzione di Repubblica (alla quale era approdato dopo tanti anni passati a dirigere La Stampa) ma, se devo dire tutta la verità, col senno di poi sembra un epilogo quasi scontato: Repubblica è un giornale troppo imbalsamato e troppo di partito per reggere un direttore con la schiena dritta e parecchia voglia di innovare. Sta di fatto che, dopo il licenziamento, Calabresi si è trovato un po’ spiazzato a non sapere cosa fare delle sue giornate, e così si è dedicato a ripercorrere alcune strade e a rinnovare alcune conoscenze, seguendo il tema di come ci si sente e cosa si fa quando, di punto in bianco, la tua vita cambia e devi adattarti. Bella scrittura, dritta al punto, chiara; bell’argomento, in parte legato ai precedenti La fortuna non esiste e Cosa tiene accese le stelle, scritti quando ancora la parola “resilienza” non era diventata una moda e aveva sostanza.
Anche un altro libro arriva da una penna giornalistica, quella di Lilli Gruber con il volumetto Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone (ed. Solferino). Avendo Gruber diversi anni di esperienza alle spalle, immaginavo che avrei avuto a che fare con un libro di grande scorrevolezza e incisività, e infatti così è stato – complice probabilmente anche il fatto che si parla di un argomento rispetto al quale sono parte in causa. A prescindere dalle idee strettamente politiche, infatti, anche io non reggo più questa continua gara a chi ce l’ha più lungo da parte di tanti capi di stato che inseguono il modello del macho, senza uno straccio di stile o quantomeno di educazione che riscontro, invece, in un certo numero di professioniste femminili (della politica, dell’economia, della cultura, ecc). Non tutte, ma parecchie. Il libro è ricco di esempi, statistiche e argomentazioni convincenti: dovrebbero leggerlo donne ben più giovani di me e lasciarsene ispirare per il loro futuro.
Il terzo volume ricade nell’ambito della saggistica divulgativa ed è Omeopatia. Bugie, leggende e verità, di Roberto Burioni (ed. Rizzoli). Il primo pensiero a venirmi in mente è che il mio libraio, al momento dell’acquisto, commentò: “questo sembra non stia vendendo bene come gli altri, sai, parlando di omeopatia fa più fatica, c’è tanta gente che l’omeopatia la usa con convinzione”. E io mi chiedo: ah quindi al lettore medio stanno bene la scienza e i suoi principi quando c’è da parlare di vaccini, ma poi non stanno più bene quando va a toccare un argomento a cui quel lettore è affezionato? Mah. Non mi considero una “fan” di Burioni, che talvolta nei modi trovo fastidioso; però lo seguo volentieri perché nei contenuti lo trovo credibile e chiaro. E questo libro non fa eccezione.
Rimanevano tempo e spazio per un romanzo e ho scelto Più alto del mare di Francesca Melandri (ed. Rizzoli). Come nel precedente Eva dorme, che ho letto l’anno scorso, ho trovato una scrittura sapiente eppure spontanea, lontana da certi vezzi di autori che ci tengono a far vedere quanto sono bravi inserendo costruzioni involute e periodi artificiosamente raffinati. Senza alcuna retorica, Melandri ha la capacità di prenderti per il collo e immergerti nella storia: come se tu fossi un tizio capitato lì per caso che assiste allo svolgimento delle vicende e si appassiona alla sorte dei personaggi, passando dalla condivisione del fardello che si portano dietro (essere parenti in visita a prigionieri in un carcere di massima sicurezza) allo scioglimento, solo parziale ma intriso comunque di sollievo, della condanna che grava anche su di loro.