Letture di Novembre 2021
Durante il mese di novembre, ho riletto con più calma un sacco di roba letta di corsa mesi prima e ho completato delle letture rimaste in sospeso. Ho pensato però di escludere da questo riepilogo di fine mese i libri di fantasy o fantascienza: quelli avranno delle recensioni a parte.
Inizio con un libro piccolo di mole, ma denso di contenuto: Il silenzio, l’ultima pubblicazione di Don DeLillo (in Italia per Einaudi). Lo si potrebbe definire un romanzo distopico, che però non racconta la vita di determinati personaggi durante una distopia, bensì all’inizio della distopia. L’imprevisto che sconvolge di colpo il mondo conosciuto è l’improvvisa scomparsa dell’energia elettrica: non funzionano più televisori, cellulari, elettrodomestici… niente. Ovviamente, a uno come DeLillo interessano ben poco le cause dell’evento, e non ci pensa nemmeno a mettere in scena uno o più protagonisti buoni che devono sopravvivere nel nuovo mondo difendendosi dai cattivi. Tenendosi alla larga dalla narrativa di genere, lui pensa piuttosto a mostrarci un gruppetto di persone, che si conoscono l’un l’altra a vario titolo, chiuse in casa e impegnate a rendersi conto di cosa sta succedendo, a sopraffare l’incredulità (che chiaramente condiziona le loro parole e le loro azioni), a speculare su questioni più o meno importanti delle loro vite. Quasi un Covid un po’ più drammatico.
Victoria Mas è un’autrice francese che di solito lavora in ambito televisivo ma ha avuto un certo successo con Il ballo delle pazze, un romanzo abbastanza breve (pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o) ambientato nel 1885 alla Salpêtrière di Parigi, una sorta di clinica psichiatrica femminile, dove vengono rinchiuse (e in teoria curate) non solo ragazze e donne affette da patologie mentali ma anche semplicemente scomode, ribelli o fragili. Il personaggio di cui si segue maggiormente l’evoluzione è la capoinfermiera Geneviève, le cui convinzioni vengono stravolte dall’ingresso della nuova paziente Eugénie e dal suo inquietante talento. Mi sono piaciute molto l’ambientazione e appunto il percorso di Geneviève, mentre ho apprezzato meno la parte soprannaturale e soprattutto i continui accenni in chiave femminista alla condizione della donna in quel periodo storico: non perché non fossero giusti, ma perché dopo un po’ viene da dire “grazie, ho capito”, si scivola nel romanzo a tema e la storia non è più al centro.
Il maestro nuovo è tornato è ovviamente il seguito di Il maestro nuovo, dell’autore americano Rob Buyea (in Italia per Rizzoli), di cui avevo parlato qui. Segue gli allievi del protagonista, il signor Terupt, in una nuova fase della loro crescita. Ci sono molti temi legati alla preadolescenza: il desiderio di sentirsi più grandi, il rischio delle cattive compagnie, l’imbarazzo e l’emozione dei primi coinvolgimenti sentimentali, i rapporti con i genitori. Non posso dire di averlo trovato trascinante, ma per i ragazzi di quell’età è un buon libro, nel quale possono facilmente riconoscere se stessi. Si vede bene, dalla quantità di personaggi e temi trattati, che l’autore ha avuto esperienza diretta con gli studenti a cavallo fra infanzia e adolescenza, e sta riportando su carta ciò che lui stesso ha imparato.
Tutta la luce che non vediamo, di Anthony Doerr, è stato un colpo al cuore. Le vicende di Werner e Marie-Laure (lui tedesco e lei francese, durante la Seconda Guerra Mondiale) hanno dell’incredibile pur essendo calate nella realtà e ben agganciate al contesto storico. Come venivano scelte le reclute della Hitlerjugend, e a quale genere di addestramento erano sottoposte? E come vivevano i civili, nelle città francesi occupate dai tedeschi? Quali ferite psicologiche si portavano dietro coloro che di guerre mondiali ne avevano già vissuta una, e come si ripercuotevano sulle loro azioni? Il tutto mentre un cocciuto ufficiale tedesco dà la caccia a una gemma preziosa, che lo porterà a Saint-Malò, dove Marie-Laure si nasconde e dove Werner rischia di rimanere sepolto vivo in una cantina. Vincitore del Premio Pulitzer per la sezione Narrativa nel 2015, è stato pubblicato in Italia da Rizzoli. Se io dovessi dire in due parole non di cosa parla, bensì di cosa mi ha parlato, risponderei: di quando avresti dovuto essere un eroe, ma hai avuto paura e non ci sei riuscito. È in realtà una parte marginale dell’intera storia, però mi ha toccato qualcosa dentro.
Un altro tema che mi ha molto colpita è quello affrontato da Edith Bruck in Il pane perduto (ed. La Nave di Teseo). È la storia di Edith e di sua sorella Judith, ebree ungheresi sopravvissute ai campi di concentramento e poi ricongiunte a quanto rimaneva della loro famiglia. Sui campi, in realtà, l’autrice non si sofferma più di tanto, perché è la parte sul ricongiungimento e più in generale sul ritorno a una vita normale a occupare la maggior parte del libro. L’accento viene posto sul fatto che non solo è quasi impossibile parlare di “vita normale” dopo un’esperienza così agghiacciante, ma che coloro i quali in teoria dovevano aiutare queste persone a reinserirsi in qualche modo, in realtà provavano un’enorme difficoltà a rapportarvisi: un misto di imbarazzo, pietà, senso di colpa che rendeva le cose più difficili di quanto già non fossero. Una piccola tragedia, un lungo strascico sottile e ingestibile della tragedia con la T maiuscola.
Di tragedia politica e sociale si parla anche in Il sogno cinese, di Ma Jian (in Italia per Feltrinelli). Della cosiddetta Rivoluzione Culturale cinese non sapevo praticamente nulla, l’avrò vista sì e no accennata su qualche libro di scuola. Molto in soldoni, si tratta di una lotta armata, iniziata nel 1966 e fomentata da Mao Zedong, che portò a esecuzioni e persecuzioni di massa, e che durò finché nel 1976, con la sua morte, i suoi seguaci vennero fermati e al potere salì Deng Xiaoping (che sempre dittatore comunista era, ma diciamo che almeno ha fatto un po’ di morti in meno). Il protagonista di questo libro a metà fra la distopia e la parodia è Ma Daode, un funzionario di partito che alla Rivoluzione ha partecipato, e che ora ha ricevuto l’incarico di dirigere l’Agenzia del Sogno Cinese, un ente il cui scopo è entrare addirittura nei sogni dei cittadini e conformarli a un unico ideale, cancellando al contempo le memorie sgradevoli del passato. Se non fosse che l’inconscio di Ma Daode è il primo a ribellarsi a questa ennesima dittatura e a portarlo dritto alla pazzia. Libro breve ma intensissimo, che parla di corruzione e dittatura. Inutile dire che Ma Jian, essendo solito scrivere libri di denuncia come questo, vive da anni fuori dal suo paese natale, in quanto esule. E in Cina, i suoi libri non vedono la luce.
Lettura recentissima (l’ho finito pochi giorni fa) è quella dell’ultimo libro di Paolo Cognetti, La felicità del lupo (ed. Einaudi). In due parole: piaciuto moltissimo. Una sapienza linguistica che colpisce per un misto straordinario di semplicità e ricchezza. Averne, di gente che sa scrivere così! Nel romanzo si trovano vari personaggi, tra cui il protagonista Fausto, che vanno e vengono dalla montagna, ormai luogo-simbolo di questo autore: forse cercano se stessi, forse fuggono da vite in cui non si riconoscono più. I loro cammini a volte si limitano a toccarsi e a volte si intrecciano in modo più solido, ma quasi mai stabile. I legami cambiano (proprio come la montagna) con l’alternarsi delle stagioni, dei pascoli e della neve; e proprio con questo continuo cambiamento l’essere umano deve confrontarsi. Panta rei.