Letture di Febbraio 2022
Questo mese è stato piuttosto impegnativo, oltre che più breve degli altri, però qualche lettura interessante l’ho completata.
Partiamo subito con le dolenti note, anzi dolentissime: Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcìa Màrquez (ed. Mondadori). Dolentissime perché, pur avendo trovato personaggi che mi hanno conquistata e pagine in cui sprofondare, ho però avuto grosse difficoltà nell’approcciarmi all’impalcatura complessiva del romanzo. Mi sfugge proprio dove vadano, questi protagonisti, cosa cerchino, e può anche darsi che il senso dell’intero libro sia proprio quest’atmosfera incerta, confusa, in cui tutti sembrano andare dietro a qualcosa che li definisca, che dia loro uno scopo, e invece rimangono impantanati nella loro solitudine, nell’incapacità perfino di rifarsi a un focolare comune. I Buendìa saranno pure tanti, ma non arrivano mai a formare una vera comunità, ciascuno si guarda intorno per conto suo. Ovviamente sono stata colpita, come tutti, dall’incipit fulminante e dalle tanti manifestazioni di realismo magico che entrano ed escono dalle pagine, ma di certo – mea culpa – non sono riuscita a cogliere il vero spirito dell’opera. Ritenterò.
Tutt’altro coinvolgimento l’ho sperimentato con un romanzo di genere ben diverso, ovvero Buona Apocalisse a tutti! di Terry Pratchett e Neil Gaiman, a cui ho dedicato un post apposito. Stessa cosa vale per un altro fantasy più tradizionale come Il cacciatore di draghi di J.R.R. Tolkien, su cui puoi trovare la mia opinione a questo link, e per un fantasy storico a fumetti, Il Terzo testamento di Alex Alice e Xavier Dorison: puoi leggere qui la mia recensione. Segnalo anche un altro volumetto, non fantasy ma che si è guadagnato il suo post riservato, in quanto selezionato per la rubrica “Librini”: si tratta di Il libro è quella cosa, di Nicola Gardini.
Una lettura un po’ nostalgica è stata quella di due fumetti storici, L’uomo del deserto e L’uomo di Rangoon, di Gino D’Antonio e Ferdinando Tacconi, ripubblicati qualche mese fa nella collana “Le Storie Cult” della Sergio Bonelli Editore, sotto il titolo-ombrello Un uomo un’avventura… che era poi il titolo della storica collana sotto la quale erano state pubblicati questi due fumetti la prima volta. Di quella collana ho un ricordo nostalgico, appunto, non solo perché è stata originale e importante nella storia del fumetto italiano ma anche perché vi ero venuta a contatto ai tempi della scuola media, quando andavo in vacanza dai miei zii in Val Trebbia e prendevo a prestito i volumi dalla sezione per ragazzi della biblioteca, a Bobbio. Sentivo che avevano qualcosa di diverso rispetto ai soliti Tex e Zagor, erano il mio primo approccio al cosiddetto fumetto d’autore. L’uomo del deserto si svolge durante la Grande Guerra e ospita come guest star nientemeno che Lawrence d’Arabia, mentre L’uomo di Rangoon è ambientato in Birmania, durante la guerra tra Cina e Giappone che si svolse contestualmente alla Seconda Guerra Mondiale. Sono quindi entrambe storia di guerra e in particolare dedicate agli aerei da combattimento, che Tacconi sapeva disegnare magistralmente; dal canto suo, D’Antonio costruisce intrighi di spionaggio, avventura, amore e ironia, tutto amalgamato. Lettura consigliatissima.
Dopodiché, un romanzo bello tosto: La vegetariana, dell’autrice coreana Han Kang, pubblicato in Italia da Adelphi e vincitore del Man Booker International Prize nel 2016. È un libro dall’intensità particolare, che sviscera mediante tre punti di vista distinti una vicenda surreale: una giovane donna di nome Yeong-hye, che fino a un certo momento ha sempre vissuto in modo tradizionale per non dire noioso, improvvisamente subisce un mutamento radicale nelle sue abitudini e nel suo carattere. Diventa vegetariana, poi vegana, poi arriva quasi a digiunare; e, in questo suo rifiuto degli alimenti, arriva a isolarsi e a sperimentare una versione sempre più essenziale e scarna della sua stessa esistenza. Perde interesse in qualsiasi cosa e vive in modo passivo qualsiasi stimolo arrivi dall’esterno, anche i più sconvolgenti, come se la vera se stessa si fosse lasciata tutto alle spalle e fosse arrivata alla rinuncia assoluta. È uno stato di atarassia che la pone al di sopra dei normali esseri umani? È una forma di schizofrenia che va curata? È un tipo di anoressia che minaccia la sua vita? Non c’è una sola risposta, ci sono solo vaghi tentativi di connettersi con Yeong-hye (prima mediante le convenzioni, poi l’arte, poi la medicina) che riflettono lo sbigottimento in cui tutti noi sprofondiamo dinanzi a coloro che sfuggono alla nostra realtà quotidiana. Inquietante.
Avevo già ascoltato l’ormai celebre podcast Proprio a me e l’argomento mi era sembrato importante, quindi ho letto il libro Crepacuore di Selvaggia Lucarelli (ed. Rizzoli) in cui l’autrice racconta la sua esperienza, che risale a diversi anni fa, con un fidanzato per il quale era caduta nell’abisso della dipendenza affettiva. Alla narrazione dei fatti si accompagna una riflessione che cerca di gettarvi luce, evidenziando le responsabilità di lui ma anche quelle di lei, perché non c’è sempre e solo un carnefice ma anche una vittima a cui per lungo tempo è mancata la lucidità di ribellarsi; e se non si possono mettere le due cose sullo stesso piano, è anche vero che una semplice autoassoluzione non aiuta a crescere né a mettersi al riparo da esperienze simili per il futuro. Chiarito questo, ci sono passaggi in cui lui francamente sembra uno squilibrato con deliri di onnipotenza, e questo rende ancora più evidente il messaggio del libro: non importa quanto sembri ovvio che quella persona non va bene, possiamo comunque esserne abbastanza accecati, e soprattutto dipendenti, da non comprendere il male che ci sta facendo. Istruttivo a dir poco.