Letture di Agosto 2020
Il grande proposito questo mese, destinato a ricaricare le pile e a recuperare almeno una parte di ciò che mi era rimasto indietro durante l’anno (letture incluse), è stato: finire una buona volta Anna Karenina. E così ho fatto.
Di Lev Tolstoj, in passato, avevo letto un solo altro libro, La morte di Ivan I’lich, piuttosto breve, che mi è rimasto nel cuore come uno di quei libri che ti cambiano la vita (te ne avevo parlato in questo post). Anna Karenina non ha avuto su di me lo stesso effetto dirompente, ma di sicuro ho ritrovato quel particolare sguardo che in un certo senso compatisce i personaggi e ho ritrovato anche i temi collaterali alla storia, sviscerati con il bisturi (in primis l’ipocrisia della società russa dell’epoca). L’imperdonabile felicità che Anna si rimprovera è un tema insistente, pressante, che ti scava dentro poco alla volta; ma ancora più incisivo, su di me, è stato il senso di straniamento che accompagna quasi sempre il personaggio di Lévin, il mio preferito, con la sua incapacità di adattarsi a un mondo che sente così falso, inutile, irrilevante rispetto all’immensità del peso che ci mette sulle spalle la vita stessa, con le sue esigenze primarie e il suo inevitabile, spaventoso epilogo. Dal mio punto di vista il resto quasi scompare: il tradimento di Anna, l’insofferenza di Vrònskij, l’evoluzione di Kitty, la frustrazione di Aleksjéj, i pettegolezzi delle nobildonne, gli impegni politici e amministrativi dei loro mariti. Mi rimane nel cuore sempre quel poveraccio di Lévin, sballottato fra doveri e sentimenti, fra la consapevolezza della sua ignoranza e l’aspirazione a sapere di più, in modo da migliorare tutto il migliorabile intorno a lui. Anche quando sembra un adolescente in crisi di identità e di valori, lo perdono volentieri. Nota a margine: l’edizione Einaudi che avevo in casa contiene la storica traduzione di Leone Ginzburg, che risale al 1929 e che ho trovato piuttosto faticosa. Credo che mi sarei trovata meglio con la traduzione del 2016 di Claudia Zanghetti; un giorno proverò.
Lettura più leggera ma anch’essa appassionante è stata quella de La luna è dei lupi, opera di Giuseppe Festa pubblicata da Salani. Festa è un documentarista ed esperto di scienze naturali che ha scritto diversi libri per ragazzi dedicati ad animali vari. Questo racconta la storia di un piccolo branco di lupi che, scacciato dal suo territorio, deve affrontare un cammino lungo e pericoloso a contatto con luoghi sconosciuti, branchi rivali e la presenza dell’uomo. A parte qualche perdonabile didascalismo (si sente che il libro è stato scritto anche per trasmettere nozioni di etologia ai lettori), ho trovato la storia appassionante e i personaggi ben delineati; più quelli lupeschi che quelli umani, secondo me. Non è paragonabile a capolavori come Zanna Bianca, ma è proprio un libro godibile, che scorre veloce e ti fa sentire partecipe del destino del branco.
Finalmente ho preso in mano anche a Rosa di mezzanotte, di Amneris Di Cesare (ed. GoWare), che aspettava da qualche mese il momento giusto. Parto sempre con i piedi di piombo quando leggo i libri di persone che conosco, ho sempre una vocina che mi sussurra “e se non ti piace? e se ti metti a fare le pulci all’editing? e se trovi degli strafalcioni?” (che è poi il motivo per cui non avviso QUASI MAI le amiche quando sto leggendo qualcosa di loro, ci può sempre scappare la reazione inopportuna e ho già avuto spiacevoli esperienze in tal senso). Ma, nel caso di Amneris, so che i rischi sono ridotti al minimo e infatti mi è piaciuta la storia, mi sono piaciuti i personaggi, mi sono piaciute le tematiche: soprattutto quella a sfondo LGBT che è trattata con una delicatezza particolare, prendendosi il suo tempo. Personaggio preferito: Terry, ‘sta povera donna che deve correre come una matta da una parte all’altra per stare dietro ai casini di tutti i suoi amici!
Poi mi sono divertita a scegliere quattro storie brevi, con il severo e razionalissimo metodo del “pesco a caso quel che più mi ispira”, nella collana Cocktail pubblicata da Emma Books. Ho letto Frittata alle ortiche di Roberta Marasco, Pesche amaretti e cioccolato di Emily Pigozzi, Le sfrappole di Elena Taroni Tardi e Latte dolce fritto di Maria Masella. A prescindere da quali mi siano piaciuti di più (probabilmente il mio preferito è Frittata alle ortiche per un inevitabile processo di identificazione, visto che anche io ho una sorella, anche io rispetto a lei sono quella inaffidabile mentre lei è precisa e metodica, e anche i nostri genitori avevano una casa in campagna che al momento è ridotta un po’ male), è proprio l’idea della collana che ho trovato simpatica: organizzare un racconto intorno a una ricetta. Sono storie di relazioni familiari, amorose, di amicizia, descritte in modo sorvegliato, senza sbandierare sentimentalismi zuccherosi né passioni travolgenti. Un senso della misura che apprezzo molto.
Infine, ho sperimentato altri due testi brevi, che fanno parte della collana Gli Squali edita da La Nave di Teseo: e cioè La vittima di Patricia Highsmith e Dove potresti aver messo la testa di Lorrie Moore. Sono quei generi di testi che leggo solo ogni tanto, perché mi lasciano sempre interdetta: alla maestria stilistica si associa quel modo, comune a tante penne contemporanee, di “fotografare” determinati eventi o situazioni nel modo più asettico possibile, quasi sfidando il lettore a svelare la visione del mondo che sta nella mente di chi scrive. Su quali spalle riposa la responsabilità per il destino inquietante di una ragazzina troppo audace? Cosa possiamo dedurre dalla breve permanenza di uno studente presso la famiglia di una sua amica del college? Non è detto che ci sia una risposta. Per me, che amo un tipo di narrativa più esplicita e dritta al punto, queste storie sono una sfida: mi piacciono, ma devo prenderle a piccole dosi. Intanto ho scaricato tutti gli altri titoli della collana, li affronterò pian piano.