“La morte di Ivan Il’ič” di Lev Tolstoj – Librini
La morte di Ivan Il’ič di Lev Nikolaevic Tolstoj (in originale Smert’ Ivana il’iča, 1886) è uno di quei libri che nella vita ti fanno da spartiacque: c’è un prima di Ivan Il’ič, e un dopo Ivan Il’ič.
L’ho letto per la prima volta al secondo anno di università, in quel di via Zamboni 38 a Bologna, quando avevo inserito nel piano di studi l’esame di Antropologia Filosofica (tenuto dall’indimenticabile professor Paolo Pullega, una specie di John Keating all’italiana). Il motivo per cui l’avevo inserito? Era corto. Punto. Poca roba da studiare. Dalla segreteria mi avevano appena convalidato, SENZA che io ne avessi fatto richiesta, l’unico esame superato ai tempi in cui avevo tentato la facoltà di ingegneria (un errore catastrofico, commesso quando ero molto giovane e molto stupida) e avevano ottenuto il risultato di rovinarmi la media del nuovo corso di studi, a cui tenevo moltissimo proprio perché dovevo riscattarmi dalla precedente e fallimentare esperienza universitaria. Così decisi di aggiungere un esame supplementare, abbastanza semplice da lasciarmi ritenere con buone probabilità di rimediare un voto alto, per limitare i danni.
Per quanto dettata da un’esigenza fin troppo pragmatica, fu una scelta miracolata. Il professore era bravissimo, l’argomento era peso ma affascinante (“Note filosofiche sulla morte”) e il testo principale da sviscerare era appunto La morte di Ivan Il’ich, un racconto lungo di Tolstoj che tuttora, ogni tanto, rileggo con il gusto sado-masochistico di chi vuole sperimentare una forma di angoscia esistenziale alle spese di qualcun altro (in questo caso il personaggio di un libro). Perché un desiderio simile? Perché fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza, e sono convinta che affrontare certi temi drammatici e strazianti non dico della letteratura, ma della vita, sia una sorta di dovere morale collettivo.
La trama? Ivan si ammala, Ivan muore. Nei mesi che intercorrono fra i due eventi, la sua coscienza, terrorizzata ma anche trasformata dalla consapevolezza della malattia e del suo ineluttabile epilogo, svela le ipocrisie a fianco delle quali Ivan ha vissuto fino a quel momento: un matrimonio senza amore, un lavoro senza passione, un ambiente sociale gretto e menzognero, l’indifferenza e il fastidio che in un simile contesto provano le persone in salute (quasi tutte) nei confronti di chi sta per affrontare l’ultimo viaggio, la necessità di darsi una spiegazione sull’esistenza stessa della vita e della morte. Solo un genio come Tolstoj poteva scavare in una materia così densa e nera con un risultato così luminoso, così intenso da far male.
È uno dei libri che consiglierei sempre e a chiunque, una stilettata al cuore che secondo me l’essere umano deve infliggersi per raggiungere un gradino di consapevolezza in più sulla condizione umana stessa. Ma ricordati che, nel momento in cui lo leggi, tutto cambia: c’è un prima di Ivan Il’ič, e un dopo Ivan Il’ič.