Intervista a Nadia Banaudi – Dentro il racconto 4
Nadia Banaudi non è una di quelle autrici che calcolano la loro presenza online con il cronometro e il sestante. Il suo profilo Facebook non è strafitto di link e video, e lei non partecipa in modo ossessivo a gruppi o eventi; ma, gira che ti rigira, ogni tanto ti capita di incrociare la sua strada. Tanto più se partecipa insieme a te all’ormai celebre antologia Buck e il Terremoto, arrivata al suo quinto mese di vita: sembra poco, ma quante soddisfazioni. Una delle quali, intervistare appunto Nadia nell’ambito della mia rubrica Dentro il racconto (che ho spesso definito, te lo dico a titolo di promemoria, come “una serie di interviste a persone che si dedicano alla scrittura e alla riflessione sulla scrittura stessa”, con particolare attenzione alla narrazione breve).
Molte tue storie ruotano attorno a personaggi femminili. Come mai questa scelta? È stata frutto del caso o di un’intenzione precisa?
La mia è un’affinità più che un’intenzione. Ho scelto di scrivere ciò che conosco. Faccio parte del cosmo femminile, un mondo pieno di sfumature spesso inespresse che tento nei miei racconti di svelare perché ne esca il giusto ritratto. Il punto focale di tutto è il pensiero che covo dentro: noi donne siamo speciali. Troppo spesso vedo sotto i riflettori dei media la donna vittima, succube e arrendevole. Non voglio dire che non corrisponda a una fetta di realtà, ma neppure che la rappresenti tutta. Le donne hanno disseminato nel loro cammino storico figure dagli esempi valorosi ed eroici, che testimoniano quanto possano essere forti. Nei miei racconti ne creo e illuminino altre meno famose ma altrettanto importanti: le donne comuni che vivono senza arrendersi. Ogni vita è una battaglia, dopotutto.
Leggendo i tuoi scritti, a volte ho la sensazione che tu metta volutamente uno stop alla nota massima “show, don’t tell”. È come se tu volessi evocare, piuttosto che descrivere. Mi sbaglio, o c’è qualcosa di vero in questa mia impressione?
Tutto nasce dalla mia prima passione: leggere. Sono una lettrice forte, sempre a caccia di storie che mi soddisfino: questo mi apre la mente verso stili narrativi differenti tra loro che da autrice spesso stimolano la voglia di riscrivere la scena in maniera meno diretta, per immaginare meglio personaggi e vicenda. Leggendo da quando ho quattro anni, la montagna di libri che si è sommata nella mia memoria è immensa, devo ammettere che tra tutti gli stili l’ermetismo è quello che ha lasciato un maggior segno profondo in me. Quell’audacia di tentare un approfondimento nell’esperienza interiore, evocando stati d’animo con allusioni che solo le medesime sensibilità riconoscono, mi attrae molto e rappresenta proprio il legame che vorrei creare con i lettori. Me lo figuro come un gioco dove l’emozione viene simbolizzata dalla scrittura mentre nella lettura riappare di nuovo nel suo aspetto naturale. Un esempio è il racconto “Tre sorelle” in cui ammetto di essermi lasciata guidare dall’istinto e composto con il gusto di farlo, raccogliendo per effetto testimonianze di lettori che rivelano di essersi sentiti avvolti dalle parole vivendo davvero la scena come se presenti. Io fornisco le basi per iniziare il viaggio, tenendo conto che la lettura per me è una realtà virtuale inimitabile, ho sempre la speranza che il lettore sia talmente avvinto da raggiungere l’ultima riga sentendosi partecipe, senza la contaminazione del mio giudizio. Insomma io scrivo e lui/lei vive il racconto, mi pare una buona spartizione di compiti e soddisfazioni.
In “Chiara”, il racconto che hai scritto per l’antologia Buck e il terremoto, ti sei messa nei panni di un cane, femmina, che fa parte di un’unità cinofila di pronto intervento. Mi è piaciuto molto il rapporto con il compagno umano, l’atteggiamento di assoluta fiducia che un cane riserva al padrone. Ma anche le insicurezze di Chiara, i dubbi su ciò che può fare e sul significato delle sue azioni. Mi racconteresti qualcosa di come il racconto è nato, delle scintille creative da cui lo hai estratto?
Appena la tragedia del terremoto in Centro Italia ha cominciato a rimbalzare dai telegiornali alla rete, sono stata invasa da sensazioni molto forti di angoscia e disperazione, poi una minuscola scintilla mi ha riacceso la speranza. La notizia che, insieme ai soccorsi, i reparti cinofili si stavano preparando a partire. Ho una fiducia smisurata nei vigili del fuoco, che considero veri e propri angeli umani, e negli animali che in queste circostanze rivelano il loro lato speciale e ineguagliabile. Resto sempre con il cuore appeso quando li seguo scavare e aspetto annusino la vita. È stato un crescendo di empatia e desiderio di scavare io stessa per liberare qualcuno, a farmi scrivere pensando a Chiara. Ho voluto dare voce a chi non ne ha, ma abbaia solo e nessuno se non gli addetti ai lavori comprende. Ho voluto che fosse evidente a tutti che loro non hanno solo quattro zampe, ma un cuore talmente grande da non potersi rinchiudere nella parola cane. Chiara è diventata il simbolo di ogni risorsa delle unità cinofile, il simbolo della speranza: uomo e animali, se motivati a salvare, possono compiere miracoli.
Un altro tema che mi pare tu tenda a sviluppare è quello della maternità. Anche qui, istinto spontaneo o scelta calcolata?
Sono diplomata maestra elementare e per anni ho svolto l’attività anche negli asili nido, mentre da ragazza ho fatto la baby sitter in diverse famiglie e ho visto crescere i bimbi fino al loro primo giorno di scuola. Lavori che ho di gran lunga preferito ad altri d’ufficio, dimostrando non solo attitudine, ma vera passione. Passione che si è riversata nel mio ruolo di mamma, raggiunta l’età matura: ho un lui di 9 e una lei di 10 anni che tutti scambiano per gemelli, mia gioia e lavoro. Non potrei immaginare la vita senza di loro. La maternità è a mio avviso da intendersi in senso lato: è quella spinta che porta ad amare i bambini anche non tuoi e racchiude i legami non di sangue. È il puro istinto a godere del loro buonumore, della loro spontaneità, sapendo che i sacrifici sono dietro l’angolo ma non ti spaventano. Anche chi una maternità la vive in maniera differente. Perché madri lo si può essere in tanti splendidi modi: ad esempio con l’affido temporaneo, l’adozione, da madri single… La maternità che riverso nella scrittura rientra fra gli aspetti femminili che sviscero, ma è del tutto spontanea e naturale, anch’essa parte delle sfumature di donne.
Questa è la domanda che tutti i miei ospiti di “Dentro il racconto” hanno l’onore e l’onere di sentirsi rivolgere. Ti fornisco dieci writing prompt menzionati in “Calliope”, un episodio del Sandman di Neil Gaiman. Se tu dovessi sceglierne uno da cui partire per un nuovo racconto, quale sceglieresti e perché? In quale direzione narrativa andresti?
1 – Una città dalle strade lastricate di tempo.
2 – Un treno carico di donne mute, che solca il tramonto per l’eternità.
3 – Teste di luce. Un pezzo di cartoncino azzurro. Una prugna, dolce, aspra e fredda. Un pesciolino mannaro che si trasforma in lupo al cospetto della luna piena.
4 – Due donne anziane che portano in vacanza una donnola.
5 – I grifoni non dovrebbero sposarsi. I vampiri non ballano.
6 – Un uomo che eredita una tessera della Biblioteca di Alessandria.
7 – Una pianta di rosa, un usignolo e un collare da cane di gomma nera.
8 – Un uomo che perde la testa per una bambola di carta.
9 – Il sole al tramonto sul Partenone, zuppa di denti di pescecane.
10 – Un vecchio che possiede l’universo e lo conserva in un barattolo di marmellata, nella credenza impolverata del sottoscala.
Il numero 10 mi ha solleticato immediatamente la fantasia. È del tutto fuori dalla mia consuetudine di racconto, quindi una sfida in piena regola. Un insospettabile vecchietto dall’aspetto burbero conserva, in un barattolo di marmellata, l’universo. Distratto dalle sue faccende materiali giornaliere, ha scordato di prendersene cura e lo ha riposto nell’ultimo ripiano della credenza impolverata del sottoscala. Ogni giorno esce di casa e si appresta a pulire il giardino, governare le galline, curare fiori e orto e spaccare la legna per scaldare la cucina, unico vano riscaldato dell’abitazione. Ogni giorno rientra per preparare un frugale pranzo da consumare in solitudine, ignaro di essere succube di un’abitudine che gli ha fatto scordare il suo grande compito. Conservare il barattolo e cercare il successore a cui trasmettere il compito di custode dell’universo. Fino a che un giorno un ragazzo vestito di cenci, affamato e malconcio bussa alla sua porta; e inizia l’avventura…
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Biografia essenziale di Nadia Banaudi.
Da grande voglio fare la scrittrice. L’ho detto e non mi tiro indietro.
Grande sono già.
Quando tengo la penna in mano ci metto il cuore, e nei personaggi che ne escono ritrovo sempre un pezzo di me. Come nella raccolta di racconti Vita e riavvita, che uscirà a breve e che ho pre-finanziato mediante il crowdfunding.
Sono mamma di due figli che cominciano a cavarsela da soli. Ho tanti sogni da realizzare e solo una certezza: scrivere per non dimenticare chi sono, con l’obiettivo di essere l’esempio che i sogni possono diventare realtà.
Online: www.svolazziescritture.com.
Le puntate precedenti di “Dentro il racconto”:
1 – Gaspare Burgio
2 – Alessia Savi
3 – Lorenza Ghinelli
Grazie per questa bellissima e piacevolissima chiacchierata. Grazie di cuore.
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