Il gallo d’oro, di Juan Rulfo – Librini
Il gallo d’oro (in originale El gallo de oro, 1980) è un racconto di Juan Rulfo pubblicato in Italia da Einaudi.
Non conoscevo il nome di Juan Rulfo finché per caso, saltellando da un link all’altro online, mi ci sono imbattuta e sono andata a curiosare online su chi fosse. Me lo ritrovo citato su Wikipedia come “il maggiore scrittore messicano del Novecento” e, presa da uno delle mie solite geremiadi «oddio che razza di analfabeta che sono, non conosco manco il nome di UNO scrittore messicano, aiuto maledizione morirò soffocata dalla vergogna della mia ignoranza» ho optato per l’acquisto del Gallo d’oro, che è un racconto con una storia curiosa alle spalle.
[“Librini” è una rubrichetta aperiodica di questo blog, dedicata a volumetti super-agili da leggere d’un fiato.]
Infatti, prima dev’essere la sceneggiatura di un film; poi si trasforma in un canovaccio sempre con la finalità di una trasposizione cinematografica; poi in effetti il film esce, ma la sceneggiatura non la scrive Juan Rulfo bensì se ne occupano Carlos Fuentes e – udite udite – Gabriel Garcia Marquez; infine, nel 1980, esce la versione in prosa, un racconto lungo (anche se Rulfo lo definiva “romanzo breve”, ma alla faccia del breve, sono appena 70 pagine).
Da notare anche che, prima del Gallo d’oro, Rulfo non aveva pubblicato nulla per la bellezza di 25 anni: risale infatti al 1955 quello che molti considerano il suo capolavoro, il romanzo Pedro Pàramo – di cui si dichiarò spudorato ammiratore proprio Garcia Marquez, che trovò ispirazione lì per Cent’anni di solitudine, incipit compreso. Quindi Rulfo è uno di quegli autori che non pubblicano “per mestiere” ma solo quando davvero ritengono di avere qualcosa da dire: meraviglioso (un paio d’anni fa avevo raccontato in questo post, prendendo spunto dall’autore ungherese Laszlo Krasznahorkai, quanto ammiro queste persone).
Insomma ho letto questo benedetto Gallo d’oro e credo di capire perchè gli appassionati di letteratura latino-americana lo amino tanto. C’è quell’atmosfera soffusa dei vari Garcia Marquez, Amado, Vargas Llosa eccetera, c’è una bella dose di realismo magico, ci sono personaggi così teneri e indifesi nella loro mediocrità, nel loro essere umani sotto ogni punto di vista, le speranze, le malinconie, le illusioni, gli amori che appassiscono, le morti di cui nemmeno ci si accorge. Personaggi che, dice Ernesto Franco nella prefazione, sono “figure del destino condannate a ripetere per l’eternità la propria parte”.
Il povero Dionisio Pinzòn, che salvando un gallo dalle piume dorate ferito in combattimento dà il via a una serie di eventi incatenati l’uno all’altro per sempre, anche a distanza dalla scomparsa del gallo stesso, si trasforma in una pietruzza schiacciata dall’ingranaggio della sorte. Lo stesso per sua madre o per la Caponera, donna di cui si innamora e che ha il potere di donargli la fortuna al gioco; ma nessuna fortuna e nessun destino benevolo, alla lunga, possono salvare Dionisio dalla sua mera natura di essere umano, fallibile, imperfetto, a volte persino patetico.
Insomma un “librino” coi controfiocchi, per chi ha voglia di un po’ di malinconia e di una storia caratterizzata da eventi bizzarri e agrodolci.