“Il cacciatore di draghi” di J.R.R. Tolkien – Fantasy
Il cacciatore di draghi è un racconto lungo, di genere fiabesco e avventuroso, scritto da Tolkien nel 1949.
Io avevo acquistato a suo tempo l’edizione Rusconi (con la seconda traduzione, quella di Isabella Murro); adesso, però, come tutte le opere di Tolkien in Italia, questo libro è pubblicato da Bompiani (stessa traduzione, ma fortemente revisionata). Dico la verità: preferivo la vecchia copertina che aveva quell’aspetto un po’ più rustico, rispetto all’eleganza della cover più recente, perché appunto un aspetto rustico mi pare più adatto alla storia e alla sua atmosfera. Però c’è anche da dire che l’edizione Bompiani è zeppa di note esplicative, che a un topo di biblioteca come me piacciono sempre, e comprende non solo la prima stesura di Tolkien ma anche l’abbozzo di un seguito, che l’autore non completò mai. In più, la nuova copertina è tratta dalle illustrazioni di Pauline Baynes, che corredano l’opera e la rendono un libretto delizioso: in effetti, meritavano di essere valorizzate.
Si tratta di una storia semplice, quasi una fiaba, che contiene moltissimi elementi cari a Tolkien. Credo anzi di averla apprezzata più per questo, per il gusto di notare questi elementi fare capolino qua e là, che per la storia in quanto tale, che non è né complessa, né epica, né particolarmente appassionante. Vi si narra di come, in un regno lontano lontano e in un tempo antico, un agricoltore di nome Giles, armato della spada fatata Mordicoda, si sia scontrato più di una volta con un grande drago di nome Chrysophylax, ricavandone fama e ricchezze; in parte a discapito del re di quelle terre e dei suoi cavalieri, che invece non erano stati in grado di opporsi alle scorrerie del drago, a causa della loro inerzia e della loro vanità. Il titolo originale dell’opera era infatti Giles il contadino di Ham.
La storia è narrata con ironia e con un sguardo benevolo sui vari personaggi. Il protagonista non è particolarmente forte o coraggioso, ma è dotato di buon senso ed è deciso a difendere la sua terra: non per grandi ideali o per desiderio di gloria, ma perché lui ci lavora, ha la sua casa e i suoi campi, e come sarebbe a dire che un drago la vorrebbe infestare? Giles ha un cane, Garm, che in teoria dovrebbe essere al suo fianco, in realtà è un fifone e pensa più a nascondersi che a battersi. Gli amici di Giles sono qualche volta solidali ma qualche volta anche invidiosi, e nemmeno loro di grande aiuto. Il re è come se non ci fosse, ma se non altro regala a Giles un’antica spada, senza sapere che si tratta della leggendaria Mordicoda, un’arma fatata che colpisce i draghi.
Insomma Giles diventa il simbolo della persona qualsiasi che deve mettersi in gioco, entrando in un mondo di avventura che non aveva mai conosciuto, ma sempre tenendo a mente che il suo desiderio più grande è tornare a casa e condurre una vita pacifica: una via di mezzo tra Bilbo, Frodo e Sam. Anche il drago Chrysophylax ricorda un po’ Smaug, quello dello Hobbit, con la sua sete di tesori da accumulare e custodire, ma in chiave molto meno drammatica. Il tutto scritto con uno stile semplice e bonario, che ricorda quello delle Lettere a Babbo Natale di cui avevo parlato in questo post. Non a caso il libro è illustrato, come già detto, da Pauline Baynes, che aveva scelto uno stile ispirato a quello dell’Arazzo di Bayeaux ed era stata molto apprezzata da Tolkien, il quale le aveva poi affidato le illustrazioni di altre sue opere.
Fra le opere minori del professore di Oxford, Il Cacciatore di Draghi è forse quella meno epica ma più vicina alla personalità pacifica e talvolta sorniona del suo autore. Consigliato a chi vuole conoscere il Tolkien più quotidiano, lo stesso del Fabbro di Wootton Major e delle poesie contenute nelle Avventure di Tom Bombadill.