Guilty pleasures: gusti, letture, musica, visioni
Mi piacciono i libri che parlano di scrittura: dal più gelido e asettico dei manuali alla più appassionata e vibrante delle autobiografie. Anche la saggistica su fenomeni come il self-publishing o il book-marketing. Gli elenchi di personaggi archetipici. Perfino certi inutili work-book già pronti con i calendari e le tabelle di marcia per la prima stesura di un testo. Ne acquisto pochi, però mi intrigano tutti. È una malattia, credo contratta in tempi universitari. Evito solamente i libri che fin dal titolo vogliono vendere successo, invece che aiutare a seguire una passione. Se un libro si intitola “Paradigmi della scrittura creativa: il thriller”, forse lo leggo. Pur non essendo un’amante dei thriller. Se si intitola “Come scrivere un thriller che venda un milione di copie”… ma anche no.
Mi piacciono i fumetti. Li ho letti e amati da quando avevo cinque anni. Studiati, da quando ne avevo venti. Quando ero piccola, alcuni autori e personaggi sono stati autentici maestri di vita. Gino D’Antonio, Stan Lee, Sergio Bonelli, Carl Barks. Più tardi sono arrivati Chris Claremont, Riyoko Ikeda, Giancarlo Berardi, Silvia Ziche. Il cosiddetto fumetto d’autore, meno. Pratt e Moebius li ho amati follemente con il cervello, non molto con il cuore.
Mi piacciono le storie con personaggi femminili credibili, ma soprattutto relazioni credibili tra di loro. Possono essere amiche, parenti, colleghe, dirimpettaie, amanti, nemiche, compagne di scuola, va bene tutto. Non ho la pretesa che ogni rapporto interpersonale, in un libro o un film, sia complesso e particolareggiato; può anche essere banale o stereotipato, ma con un suo perché. A volte le banalità e gli stereotipi sono divertenti, purché gestiti sapendo ciò che sono. Questo è uno dei motivi per cui mi piacciono i buddy movies al femminile: da Fiori d’Acciaio a Otto in un stanza. E le buddy series al femminile: da Cagney & Lacey a The L Word.
Mi piace il genere fantasy, con i suoi sottogeneri. Non è che ne abbia letto a vagonate. Eppure, i libri fantasy sono quelli che mi hanno lasciato dentro qualcosa in più degli altri. Ovviamente J.R.R. Tolkien, ma anche Gregory Maguire, Ursula LeGuin, Neil Gaiman, Suzanne Collins. E l’amata Marion Zimmer Bradley. Con tutto ciò che si è detto di lei ultimamente, e che devo ancora digerire, è pur sempre stata lei ad avvicinarmi al genere e a raccontare personaggi a cui ho voluto bene. E poi, il fantasy a fumetti. Wendy e Richard Pini, John Buscema, Norihiro Yagi, Jeff Smith, Mamoru Nagano. Di nuovo Gaiman. E ancora, il fantasy al cinema e in tv: Ladyhawke, Dragon Trainer, Claymore, Game of Thrones. Lo confesso, perfino Fantaghirò – ma ero giovane, eh.
Mi piace la musica dei Within Temptation. E tanta altra musica, di generi diversi, dal pop più becero ai musical di Sondheim. Però, è ascoltando i loro dischi che scrivo. Sono le loro canzoni che, adattandosi a quanto ho in testa, hanno determinato temi e atmosfere del romanzo a cui sto lavorando. Sì, un romanzo. Fantasy, ovviamente: le donne, i cavalier, l’arme e gli amori. Più tutto il mondo di background che a un fantasy si conviene. Più una serie di racconti brevi, ambientati nel suddetto mondo.
Sul romanzo, su come procede, sui personaggi, sulle fonti di ispirazione, sul genere fantasy, sui Within Temptation, sui buddy movies al femminile e sulla manualistica di scrittura, ammorberò i lettori di questo blog. Siete avvisati.