Grace e Karen in “Unbelievable” – Buddy Women
Unbelievable è una miniserie televisiva in otto puntate, disponibile su Netflix, con protagoniste Toni Collette, Merritt Wever e Kaitlyn Dever. Prendendo spunto da una storia vera (una ragazza che non venne creduta dagli inquirenti quando denunciò uno stupro, che si scoprì poi essere effettivamente accaduto), mette in scena un poliziesco diverso dal solito.
La miniserie non lascia spazio alla spettacolarizzazione della lotta al crimine: non ci sono inseguimenti, sparatorie o scazzottate. C’è un’indagine lunga e complicata, e nonostante tutto portata avanti un pezzetto alla volta (incluse le false piste e i vicoli ciechi) da due detective donne attente e determinate, all’interno di un’atmosfera spiazzante: quella che respirano i sopravvissuti, le vittime di violenza, le loro famiglie, i loro amici, tutte le persone che a volte riescono a reagire e a riprendersi in modo efficace, altre volte incapaci di superare il trauma subito.
Attenzione, da qui in poi ci sono degli spoiler: non procedere con la lettura se ti danno fastidio.
Karen Duvall e Grace Rasmussen, le detective, non instaurano un rapporto cameratesco e/o affettuoso come altre poliziotte o investigatrici viste su film e serie tv (dai capostipiti Charlie’s Angels e Cagney & Lacey, al più recente Rizzoli & Isles); sono colleghe occasionali, nel senso che per quell’unico caso si trovano a lavorare insieme. C’è qualche momento di confidenza, qualche chiacchiera fuori dal contesto lavorativo, ma nient’altro: entrambe hanno una vita privata che non sacrificano per colpa del lavoro (anche se qualche orario strambo ci scappa) e la capacità di riconoscere che a volte le tappe dell’indagine non possono essere accelerate, servono i giusti tempi per arrivare ai risultati che si vorrebbero ottenere di corsa dal primo giorno. Una delle due è più esperta dell’altra e può offrirle qualche consiglio, l’altra essendo più giovane ha dello slancio in più: ciascuna assorbe dall’altra quel che le è congeniale, per il resto puntano il sospetto come segugi finché non arrivano ad arrestarlo e poi a vederlo condannato. Il loro legame è basato sulla stima professionale; bandite smancerie e abbracci, al massimo una birra e una cena al volo con i rispettivi compagni, per festeggiare il buon esito delle indagini.
La terza “buddy woman” è Marie Adler, la ragazza che tre anni prima si era imbattuta in due poliziotti ben diversi, incapaci di gestire con la dovuta empatia una denuncia di stupro e talmente diffidenti da spingere Marie a ritrattare e a sostenere di essersi inventata tutto. Con l’arresto del colpevole a opera di Karen e Grace, la vecchia denuncia di Marie viene tirata fuori; la ragazza riceve le scuse dei poliziotti e un congruo risarcimento dal Comune. La telefonata di ringraziamento che Marie fa a Karen è l’unico momento dell’intera miniserie in cui c’è un contatto fra queste protagoniste che lo spettatore ha sperato (inutilmente) di vedere interagire fin dall’inizio. Ed è un’interpretazione commovente e credibile di come, a volte, vanno le cose; di come un legame viene a crearsi, senza che i protagonisti di quel legame l’abbiano mai pensato; di come si possa essere “buddies” senza nemmeno saperlo.