Dragon Age Absolution, la miniserie – Fantasy
Dragon Age Absolution è una mini-mini-serie animata (solo 6 episodi da mezz’ora l’uno) ispirata al videogame Dragon Age, nella cui continuity si inserisce, e uscita su Netflix lo scorso dicembre.
Creata da Mairghread Scott, diretta da Bae Ki-Yong e realizzata dallo studio Red Dog Culture House con supervisione di Bio Ware (la software house di Dragon Age), la miniserie parte come la classica quest fantasy in cui un’eterogenea compagnia di avventurieri, ingaggiati da un committente, si mette all’opera per entrare in possesso di un mistico manufatto, nel caso specifico un bracciale dotato di immensi poteri magici; ma naturalmente il furto non sarà un semplice furto, il bracciale nasconde più di quanto si creda all’inizio, la protagonista Miriam ha un complicatissimo percorso interiore da svolgere contestualmente all’avventura, e il tradimento è sempre dietro l’angolo.
La storia presenta un conflitto abbastanza complesso alla base del rapporto fra protagonista e antagonista: non è un semplice “buoni contro cattivi”, c’è un onesto tentativo di fornire al villain Rezaren motivazioni più che sufficienti per il suo agire, sia in senso generale che nelle singole situazioni. Certo potremmo identificarlo come il solito personaggio potenzialmente buono che però si è lasciato prendere la mano (ce n’è uno abbastanza simile in Arcane, per esempio, senza parlare dell’ormai celebre Thanos nella saga degli Avengers), eppure le sue intenzioni sono quanto di più vicino esista alla situazioni di qualsiasi essere umano: insomma difficile identificarsi in lui quando i suoi motivi diventano ossessioni, ma facile capire da dove abbia origine il suo slancio – non solo perché ci viene spiegato il suo background ma proprio perché riusciamo a vedere dentro di lui. Molto bello anche il legame con la comandante delle guardie, personaggio granitico che fatica sempre più a rapportarsi con il suo superiore e amico.
Più traballante l’impalcatura degli avventurieri. Un po’ perché quattro su sei si rivelano essere gay, e per quanto la cosa non dia alcun fastidio alla storia sembra l’ennesimo tentativo forzato, da parte di Netflix, di farsi bandiera del mondo LGBTQ+; e un po’ perché non tutti vengono approfonditi a dovere, magari sarebbero bastate due puntate in più per aumentare lo spessore complessivo del “cast”. Segnalo anche un nano che sarà alto almeno un metro e mezzo (ma ormai è dai tempi dei film dello Hobbit che i nani non sono più tanto bassi, per non parlare di quelli della recente serie tv Gli Anelli del Potere) e un personaggio femminile che, dopo aver ricevuto una forte pugnalata alla schiena, continua a saltare e a combattere come un’acrobata.
Giudizio complessivo? Tutto sommato, lo considero un prodotto discreto. Le animazioni superano tranquillamente il livello minimo di fluidità che oggi ci si può aspettare, soprattutto (e con mia sorpresa) nelle scene più movimentate con i combattimenti della protagonista; alcuni personaggi danno un tocco di vitalità graditissimo (il mio preferito è la gigantessa Qwydion); il finale resta aperto (forse è collegato al videogame, non so dirlo non avendolo mai giocato); e non c’è nulla di bambinesco o di edulcorato (nell’ultimo episodio, poi, sangue a fiumi). Una miniserie adatta per una serata di stravacco sul divano tra incantesimi, intrighi e tante scazzottate.