Ancillary Sword, di Ann Leckie – Fantascienza
Ancillary Sword è, nemmeno a dirlo, il seguito di Ancillary Justice, dell’autrice statunitense Ann Leckie. Del romanzo precedente avevo parlato in questo post; aggiungendo questo, siamo a metà della Trilogia del Radch, che racconta complotti e strategie di potere in un mega-impero spaziale. Anche questo secondo libro, qualche anno fa, era giunto in Italia per Fanucci, che aveva aggiunto il sottotitolo “La stazione di Athoek”, ma adesso è reperibile nell’edizione targata Mondadori (dapprima un volume della collana Urania, poi una bella Titan Edition che comprende l’intera trilogia).
Ancillary Sword mi è piaciuto più di Ancillary Justice: ci sono maggiori interazioni con tanti personaggi, conflitti più chiari, faccende personali che si intersecano con rapporti di potere e interessi politici, ma in modo comprensibile. Il fatto di aver già bene chiaro in testa chi sono (o, in certi casi, che cosa sono) i personaggi principali e qual è la posta in gioco (tutte cose che nel primo volume andavano indagate e capite) mi ha permesso di focalizzarmi sull’intreccio principale, le location, gli eventi e i personaggi.
La cosa forse più difficile è entrare in empatia con molti di essi. Alcuni vorresti prenderli a schiaffoni a due a due finché non diventano dispari, per quanto sono spocchiosi e tutti presi dalla loro superiorità economica e sociale: una vera casta aristocratica e in un certo senso latifondista, che ricorda i grandi proprietari terrieri del nostro Medioevo. Altri, di converso, vivono una tale situazione di emarginazione e sottomissione che in teoria verrebbe da provare per loro tutta la solidarietà possibile; se non fosse che, condizionati da generazioni di ingiustizie e soprusi, sono diventati scontrosi e diffidenti, e in definitiva antipatici e ottusi. Perfino quando si ritrovano sotto il naso una persona perfettamente neutrale e dotata di autorità, che rappresenterebbe una chance perfetta per migliorare la propria condizione, non riescono a fidarsi e rendono tutto più complicato del dovuto. Comprensibile ma, alla lunga, fastidioso: eppure tante brutte questioni nella storia dell’umanità sono nate da pregiudizi simili, quindi inutile che io mi ci soffermi troppo.
La traduzione continua a sopportare il gravoso incarico di gestire un’ambientazione nella quale le differenze di genere sono appena percettibili, e opta per un linguaggio prevalentemente femminile invece che, come d’abitudine, prevalentemente maschile. Ne consegue che, volente o nolente, mi immagino la maggior parte dei personaggi come donne, in particolare la protagonista, alla quale attribuisco la voce di Cinzia De Carolis, storica doppiatrice di Lady Oscar. Non c’è niente da fare, ogni volta che penso a una donna nell’esercito, che agisce con autorità e senza peli sulla lingua, per me la voce è quella. Puro imprinting, magari fuori luogo ma che regala alla mia lettura una graditissima componente sensoriale in più.