Robin Hobb, la Trilogia dei Lungavista – Fantasy
Robin Hobb è un’autrice che ho affrontato per la prima volta con la sua Trilogia dei Lungavista, una lettura piuttosto impegnativa: la classica trilogia fantasy lunga e complessa.
Ho iniziato l’anno scorso con L’apprendista assassino e sono arrivata in fondo quest’anno con L’assassino di corte e infine con Il viaggio dell’assassino. Nel primo volume si fa la conoscenza di FitzChevalier, il protagonista, da ragazzino: si tratta per sua sfortuna di un bastardo di sangue reale, malvisto della maggior parte delle persone che si trovano ad avere a che fare con lui. Fitz deve crescere a Castelcervo facendo la conoscenza dei suoi nobili parenti e di una serie di comprimari mai troppo simpatici con lui. Viene instradato sull’unica via che lo rende quantomeno utile: diventare un abile sicario segreto al servizio del re, esperto in armi e veleni, per missioni importanti che non è il caso passino dalla vie ufficiali. Nel secondo volume, Fitz deve riprendersi dalle brutte conseguenze della sua prima missione nel Regno delle Montagne, nel corso della quale ha quasi perso la vita, e tornare a Castelcervo per ricongiungersi alla donna di cui è innamorato e seguire da vicino le cospirazioni che aleggiano intorno alla famiglia reale. Infine, nel terzo volume, Robin Hobb ci presenta Fitz in cerca di vendetta nei confronti di un crudele usurpatore; per questa ragione il ragazzo inizia un lungo viaggio dal quale dovrà poi deviare per intraprenderne un secondo, alla ricerca del suo principe perduto e di un modo per salvare i Sei Ducati dal destino tragico a cui sembra debbano andare incontro.
Ci sono idee affascinanti nella storia ideata da Robin Hobb: i suoi sono libri fantasy ma terribilmente realistici e crudi, i personaggi devono sottostare a numerose imposizioni e hanno una libertà d’azione limitatissima, niente a che vedere con cavalcate e battaglie campali dove ciascuno si fa onore contro il nemico in sfavillanti momenti di gloria guerriera. Le doti magiche sono pericolose oppure malviste oppure entrambe le cose insieme; i pirati che minacciano i Sei Ducati sono personaggi impalpabili contro i quali non si riesce quasi mai a combinare niente di concreto, sfuggono da tutte le parti, si comportano senza una logica e mandano in crisi i poveri soldati chiamati a difendere la loro patria; gli intrighi di corte si accumulano l’uno sull’altro costruendo un reticolo di spie, sussurri e tradimenti che ridurrebbero alla disperazione anche un eroico paladino. La salvezza, ammesso che ci sia, risiede nei personaggi (non importa se nobili o popolani, umani o animali) dagli atteggiamenti più modesti e volenterosi, che spesso agiscono nell’ombra o perché non sono interessati alle luci della ribalta, o perché sanno che per la loro sicurezza è meglio mantenere un basso profilo.
La prosa di Robin Hobb è ampiamente descrittiva, secondo me anche troppo: ci sono momenti in cui è affascinante “vedere” con gli occhi dei personaggi gli ambienti e le atmosfere, soprattutto quelle delle varie zone del castello reale, altri in cui invece la descrizione del contesto è superflua e l’azione ne viene molto rallentata. Ciascun libro è più corposo del precedente (152.000 parole il primo, 248.000 il secondo, 313.000 il terzo) e la lentezza nel mostrare gli avvenimenti si sente, a volte si ha proprio la sensazione che la storia non proceda e che alcune caratteristiche o attitudini dei personaggi vengano ripetute più e più volte, come se l’autrice volesse avere la certezza che il letture riesca a ficcarseli bene in testa perché poi torneranno. Vero è che i tanti fattori messi in campo (non solo i personaggi) servono sempre a qualcosa andando avanti, quindi la profondità e il dettaglio hanno una funzione; sarebbe solo stato meglio trovare un modo più snello per inserirli.
Il mio consiglio è comunque di leggere questi tre romanzi (che hanno degli ulteriori seguiti nella cui lettura prima o poi mi cimenterò), fosse anche solo per Occhi-di-Notte: una mente più acuta di quanto si crederebbe e un pensiero così schietto e fedele da renderlo personaggio memorabile, per il quale mi è stato è facile tifare e preoccuparmi, anche più di quanto non abbia fatto per il protagonista Fitz.